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Presentando la vita e il pensiero cristologico del santo del V secolo il
Papa ha ricordato che è dovere dei pastori preservare la fede del
popolo di Dio. Ieri durante la consueta catechesi settimanale Benedetto
XVI si è soffermato sulla figura di san Cirillo
di Alessandria, «sigillo dei Padri»
Cari fratelli e sorelle! Anche oggi, continuando il nostro itinerario che
sta seguendo le tracce dei Padri della Chiesa, incontriamo una grande figura:
san Cirillo di Alessandria. Legato alla controversia cristologica che portò
al Concilio di Efeso del 431 e ultimo rappresentante di rilievo della tradizione
alessandrina, nell'Oriente greco Cirillo fu più tardi definito «custode
dell'esattezza» - da intendersi come custode della vera fede - e addirittura
«sigillo dei Padri».
Queste antiche espressioni esprimono bene un dato di fatto che è
caratteristico di Cirillo, e cioè il costante riferimento del vescovo
di Alessandria agli autori ecclesiastici precedenti (tra questi, soprattutto
Atanasio) con lo scopo di mostrare la continuità della propria teologia
con la tradizione. Egli si inserisce volutamente, esplicitamente nella tradizione
della Chiesa, nella quale riconosce la garanzia della continuità
con gli Apostoli e con Cristo stesso.
Venerato come santo sia in Oriente che in Occidente, nel 1882 san Cirillo
fu proclamato dottore della Chiesa dal Papa Leone XIII, il quale contemporaneamente
attribuì lo stesso titolo anche a un altro importante esponente della
patristica greca, san Cirillo di Gerusalemme. Si rivelavano così
l'attenzione e l'amore per le tradizioni cristiane orientali di quel Papa,
che in seguito volle proclamare dottore della Chiesa anche san Giovanni
Damasceno, mostrando così che tanto la tradizione orientale quanto
quella occidentale esprimono la dottrina dell'unica Chiesa di Cristo.
Le notizie sulla vita di Cirillo prima della sua elezione all'importante
sede di Alessandria sono pochissime.
Nipote di Teofilo, che dal 385 come vescovo resse con mano ferma e prestigio
la diocesi alessandrina, Cirillo nacque probabilmente nella stessa metropoli
egiziana tra il 370 e il 380, venne presto avviato alla vita ecclesiastica
e ricevette una buona educazione, sia culturale che teologica. Nel 403 era
a Costantinopoli al seguito del potente zio e qui partecipò al Sinodo
detto della Quercia, che depose il vescovo della città, Giovanni
(detto più tardi Crisostomo), segnando così il trionfo della
sede alessandrina su quella, tradizionalmente rivale, di Costantinopoli,
dove risiedeva l'imperatore. Alla morte dello zio Teofilo, l'ancora giovane
Cirillo nel 412 fu eletto vescovo dell'influente Chiesa di Alessandria,
che governò con grande energia per trentadue anni, mirando sempre
ad affermarne il primato in tutto l'Oriente, forte anche dei tradizionali
legami con Roma.
Due o tre anni dopo, nel 417 o nel 418, il vescovo di Alessandria si dimostrò
realista nel ricomporre la rottura della comunione con Costantinopoli, che
era in atto ormai dal 406 in conseguenza della deposizione del Crisostomo.
Ma il vecchio contrasto con la sede costantinopolitana si riaccese una decina
di anni più tardi, quando nel 428 vi fu eletto Nestorio, un autorevole
e severo monaco di formazione antiochena. Il nuovo vescovo di Costantinopoli,
infatti, suscitò presto opposizioni perché nella sua predicazione
preferiva per Maria il titolo di «Madre di Cristo» ( Christotòkos),
in luogo di quello - già molto caro alla devozione popolare - di
«Madre di Dio» (Theotòkos). Motivo di questa scelta del
vescovo Nestorio era la sua adesione alla cristologia di tipo antiocheno
che, per salvaguardare l'importanza dell'umanità di Cristo, finiva
per affermarne la divisione dalla divinità. E così non era
più vera l'unione tra Dio e l'uomo in Cristo e, naturalmente, non
si poteva più parlare di «Madre di Dio».
La reazione di Cirillo - allora massimo esponente della cristologia alessandrina,
che intendeva invece sottolineare fortemente l'unità della persona
di Cristo - fu quasi immediata, e si dispiegò con ogni mezzo già
dal 429, rivolgendosi anche con alcune lettere allo stesso Nestorio. Nella
seconda ( PG 77,44-49) che Cirillo gli indirizzò, nel febbraio del
430, leggiamo una chiara affermazione del dovere dei Pastori di preservare
la fede del Popolo di Dio. Questo era il suo criterio, valido peraltro anche
oggi: la fede del Popolo di Dio è espressione della tradizione, è
garanzia della sana dottrina. Così scrive a Nestorio: «Bisogna
esporre al popolo l'insegnamento e l'interpretazione della fede nel modo
più irreprensibile e ricordare che chi scandalizza anche uno solo
dei piccoli che credono in Cristo subirà un castigo intollerabile».
Nella stessa lettera a Nestorio - lettera che più tardi, nel 451,
sarebbe stata approvata dal Concilio di Calcedonia, il quarto ecumenico
- Cirillo descrive con chiarezza la sua fede cristologica:
«Affermiamo così che sono diverse le nature che si sono unite in vera unità, ma da ambedue è risultato un solo Cristo e Figlio, non perché a causa dell'unità sia stata eliminata la differenza delle nature, ma piuttosto perché divinità e umanità, riunite in unione indicibile e inenarrabile, hanno prodotto per noi il solo Signore e Cristo e Figlio».
E questo è importante: realmente la vera umanità e la vera
divinità si uniscono in una sola persona, il nostro Signore Gesù
Cristo.
Perciò, continua il vescovo di Alessandria,
«professeremo un solo Cristo e Signore, non nel senso che adoriamo l'uomo insieme col Logos, per non insinuare l'idea della separazione col dire 'insieme', ma nel senso che adoriamo uno solo e lo stesso, perché non è estraneo al Logos il suo corpo, col quale siede anche accanto a suo Padre, non quasi che gli seggano accanto due figli, bensì uno solo unito con la propria carne».
Presto il vescovo di Alessandria, grazie ad accorte alleanze, ottenne che
Nestorio fosse ripetutamente condannato: da parte della sede romana, quindi
con una serie di dodici anatematismi da lui stesso composti e, infine, dal
Concilio tenutosi a Efeso nel 431, il terzo ecumenico. L'assemblea, svoltasi
con alterne e tumultuose vicende, si concluse con il primo grande trionfo
della devozione a Maria e con l'esilio del vescovo costantinopolitano che
non voleva riconoscere alla Vergine il titolo di «Madre di Dio»,
a causa di una cristologia sbagliata, che apportava divisione in Cristo
stesso. Dopo avere così prevalso sul rivale e sulla sua dottrina,
Cirillo seppe però giungere, già nel 433, a una formula teologica
di compromesso e di riconciliazione con gli antiocheni. E anche questo è
significativo: da una parte c'è la chiarezza della dottrina di fede,
ma dall'altra anche la ricerca intensa dell'unità e della riconciliazione.
Negli anni seguenti si dedicò in ogni modo a difendere e a chiarire
la sua posizione teologica fino alla morte, sopraggiunta il 27 giugno del
444.
Gli scritti di Cirillo - davvero molto numerosi e diffusi con larghezza
anche in diverse traduzioni latine e orientali già durante la sua
vita, a testimonianza del loro immediato successo - sono di primaria importanza
per la storia del cristianesimo. Importanti sono i suoi commenti a molti
libri veterotestamentari e del Nuovo Testamento, tra cui l'intero Pentateuco,
Isaia, i Salmi e i Vangeli di Giovanni e Luca.
Rilevanti sono pure le molte opere dottrinali, in cui ricorrente è
la difesa della fede trinitaria contro le tesi ariane e contro quelle di
Nestorio. Base dell'insegnamento di Cirillo è la tradizione ecclesiastica,
e in particolare, come ho accennato, gli scritti di Atanasio, il suo grande
predecessore sulla sede alessandrina. Tra gli altri scritti di Cirillo vanno
infine ricordati i libri Contro Giuliano, ultima grande risposta alle polemiche
anticristiane, dettata dal vescovo di Alessandria probabilmente negli ultimi
anni della sua vita per replicare all'opera "Contro i Galilei"
composta molti anni prima, nel 363, dall'imperatore che fu detto l'Apostata
per avere abbandonato il cristianesimo nel quale era stato educato.
La fede cristiana è innanzitutto incontro con Gesù, «una
Persona che dà alla vita un nuovo orizzonte» (Enc. Deus caritas
est, 1). Di Gesù Cristo, Verbo di Dio incarnato, san Cirillo di Alessandria
è stato un instancabile e fermo testimone, sottolineandone soprattutto
l'unità, come ripete nel 433 nella prima lettera ( PG 77,228
237) al vescovo Succenso:
«Uno solo è il Figlio, uno solo il Signore Gesù Cristo, sia prima dell'incarnazione sia dopo l'incarnazione. Infatti non era un Figlio il Logos nato da Dio Padre, e un altro quello nato dalla santa Vergine; ma crediamo che proprio colui che è prima dei tempi è nato anche secondo la carne da una donna».
Questa affermazione, al di là del suo significato dottrinale, mostra
che la fede in Gesù Logos nato dal Padre è anche ben radicata
nella storia perché, come afferma san Cirillo, questo stesso Gesù
è venuto nel tempo con la nascita da Maria, la
Theotòkos, e sarà, secondo la sua promessa, sempre con noi.
E questo è importante: Dio è eterno, è nato da una
donna e rimane con noi ogni giorno. In questa fiducia viviamo, in questa
fiducia troviamo la strada della nostra vita.
da avvenireonline del 04/10/2007