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Studiosi Accademici e Vittime delle Sette
Esiste veramente una frattura?

Cristina Caparesi

In un recente scritto apparso la scorsa estate l’autore, Massimo Introvigne, scrive “cinque buoni motivi perché si dovrebbe credere agli studiosi accademici e non alle vittime delle sette che in gran numero si fanno sentire per appoggiare il progetto di legge [riferendosi al ddl 1777 in discussione presso la Commissione Giustizia del Senato]. Per chi ha abbracciato la visione della molteplicità e della problematicità allo studio del fenomeno del settarismo questo articolo ha il senso del libello e della propaganda. E’ difficile comprendere per quale motivo le vittime delle sette dovrebbero trovarsi contrapposti agli studiosi accademici e non è per nulla condivisibile. Naturalmente una tale affermazione produce l’effetto di aumentare quel clima spesso conflittuale che già contrappone solitamente gli adepti e gli ex-adepti di un gruppo coercitivo ma che non dovrebbe coinvolgere gli studiosi che se ne occupano riproponendo, tra l’altro, una polemica di vecchia data che apparentemente appariva ormai superata con posizioni meno intransigenti da una parte e dall’altra.

Infatti il carattere dualistico di certi raggruppamenti si accentua quando ci troviamo di fronte ad un gruppo totalitario che nel tentativo di abbracciare tutta l’esperienza di vita dei suoi aderenti, cerca di dare un’interpretazione ed una correlazione ad ogni aspetto del loro vissuto: dalle vicende personali agli eventi politici, dai fenomeni naturali a quelli sociali. Tanto più l’ideologia è considerata sacra ed è richiesta la radicalità della scelta tanto più si crea un solco tra qui e lì, tra noi e voi, tra il dentro ed il fuori, tra il gruppo ed il mondo. Il dentro puro e positivo si contrappone al fuori negativo, sporco e soprattutto avverso. Se il gruppo può essere, a volte, disposto a qualche compromesso con il mondo esterno e con la società per motivi di sussistenza, la frattura si evidenzia invece con gli ex adepti, spesso considerati traditori e perciò ancora più nemici e temibili,atteggiamento che ha spesso causato conflitti e fratture famigliari insanabili.

Chi studia e si occupa di queste realtà, qualunque sia l’approccio che utilizza, dovrebbe essere consapevole del pericolo di cadere nello stesso tranello vedendo la realtà divisa in due. Una corretta interpretazione, invece, richiederebbe serenità, neutralità e desiderio di comprendere in modo unitario ed omnicomprensivo una realtà complessa e già di per sé frammentata con l’atteggiamento di umiltà e rigore che una simile impresa richiede.

Occorre ricordare che la scienza è di per sé ateleologica ed avalutativa e lo studioso rigoroso non dovrebbe confondere la scienza con i suoi effetti. Le applicazioni sono altro dalla scoperta e dalla ricerca e da qui nasce lo sgomento per chi, invece di conservare la distanza e la neutralità che si conviene a chi si occupa di ricerca, adotta invece un atteggiamento militante.

Il Cesnur sostiene di avvalersi di un importante comitato scientifico di sociologi di fama internazionale, di avvalersi di un metodo di ricerca laico [?] e di astenersi da giudizi di valore o teologici sulle dottrine delle minoranze religiose che studia. Sostiene inoltre di fornire informazioni obiettive ma al tempo stesso di difendere il principio della libertà religiosa.

La sociologia, in quanto scienza, deve far uso di metodi di indagine sistematici, di un pensiero teorico e di una sistemazione logica degli argomenti, più che di un metodo laico…L’oggettività consiste nei metodi di osservazione e di argomentazione e nel carattere pubblico che fa sì che le conclusioni dei singoli ricercatori siano controllabili da altri.

Sostanzialmente l’oggettività dipenderebbe dagli effetti della critica reciproca tra i membri della comunità sociologica.

L’atteggiamento del Cesnur di minimizzare ed ignorare chi arriva conclusioni diverse dalle proprie con appellativi quali “attivisti antisette” o “critici” contrasta il criterio secondo il quale la critica sia un elemento indispensabile dell’oggettività scientifica. Il Cesnur, avvalendosi prevalentemente di studiosi sociologi che naturalmente hanno una loro opinione sulle controversie settarie, e dichiarando addirittura il proprio impegno a favore della libertà religiosa, dovrebbe garantire l’oggettività della sua informazione e della ricerca sociologica accettando innanzitutto posizioni critiche e conclusioni diverse dalle proprie.

Non manca certo la consapevolezza che l’approccio sociologico, soprattutto in un certo periodo storico, abbia volutamente escluso gli ex adepti dalla ricerca.

“La persona delusa e l’apostata sono degli informatori le cui prove debbono essere usate con circospezione. L’apostata di solito ha bisogno di auto-giustificarsi. Ha bisogno di ricostruire il suo passato, di scusarsi per il suo passato e di biasimare quelli che sono stati i suoi precedenti affiliati. Non di rado impara a recitare una ”storia di atrocità” per spiegare come, attraverso la manipolazione, il trucco, la coercizione e l’inganno è stato indotto ad unirsi o a rimanere in un’organizzazione che ora condanna. Apostati in mano alla stampa hanno tentato di trarre profitto dalle storie delle loro esperienze vendendo i loro racconti ai giornali o in libri (scritti spesso da autori “fantasmi”)

Questo paragrafo è una rappresentazione di come si può confondere la scienza dalla sua applicazione. Infatti il pregiudizio verso gli ex-membri deriva non già da un pensiero teorico ed una metodologia scientifica che lo abbia teorizzato (come si converrebbe ad un concetto scientifico) ma semplicemente da effetti secondari e contingenti. Seguendo tale impostazione lo stesso potrebbe dirsi delle testimonianze di adepti che avrebbero tutto l’interesse a mostrare una realtà diversa da quella che è e la cui prova dovrebbe essere usata con circospezione. Escludere una delle due parti dalla ricerca a priori, senza una teorizzazione scientifica, sembrerebbe dovuta a strumentalizzazioni della scienza e non alla scienza in sé.

Contrariamente da quanto raccomandato dall’autore, l’esperienza sul campo di chi si occupa dei fuoriusciti delle sette contraddirebbe l’affermazione. Di solito gli ex-membri di sette non amano raccontare del proprio passato per vari motivi. Innanzitutto perché chi ha vissuto un’esperienza forte vuole di solito dimenticare soprattutto se è stata molto negativa. Secondariamente perché l’ex-membro può provare vergogna di comportamenti discutibili compiuti nella setta e perciò di essere giudicato e non accettato nella vita sociale ordinaria. Ancora perché può avere paura se, assecondando le dottrine della sua setta, ha assunto comportamenti illegali per i quali può essere perseguito penalmente.

Gli ex-membri in grado di assumere un atteggiamento antagonista e militante sono e saranno sempre una minoranza, ma questo è un dato che non dovrebbe essere correlato con la pericolosità della setta da cui sono usciti, né tanto meno con la qualità dell’ex affiliato. Accostare questi due dati mostra ingenuità e poca dimestichezza con il fenomeno del settarismo.

Se poi ci dovessimo spostare su un fronte applicativo dello scienza, ad esempio quello riferito al progetto di legge sulla manipolazione mentale, dovremmo cambiare addirittura l’angolatura del nostro sguardo. A tal fine sembrerebbero più utili altri approcci da quello sociologico che, invece di studiare solo la setta in quanto organizzazione sociale, spostassero l’asse della ricerca verso la setta quale comunità educativa occupandosi perciò dell’impatto della setta e dell’ideologia sull’individuo, membro o ex-membro di setta e sulle storie di vita attraverso approcci umanistici, quali quello psicologico, pedagogico, giuridico. Non dimentichiamoci infatti che lo scopo di una legge è quello di dare delle regole di convivenza sociale al fine di migliorare la qualità della vita di una comunità. Un approccio multidisciplinare che tenga conto sia delle dinamiche individuali dell’adepto e dell’ex-adepto che della struttura organizzativa cui ha aderito è sicuramente da preferire ad un approccio esclusivamente sociologico. E’ auspicabile ed apprezzabile che il Parlamento, oggi o in futuro, possa accogliere anche orientamenti diversi da quello sociologico più sensibili alla qualità della vita nella setta, alla validità dei sistemi e le istanze educative e alla legalità delle proposte settarie.

Note bibliografiche:

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