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Piccola considerazione sul «motu proprio»
Stefano Maria Chiari 07/07/2007
Una celebrazione secondo il  messale di San Pio V
Il Messale di Giovanni XXIII del 1962, che rivisita parzialmente il più noto Messale di San Pio V, datato 1574, tornerà nella piena disponibilità di ogni sacerdote che voglia celebrare la santa Messa secondo l'antico rito, senza necessitare del permesso del proprio vescovo (come attualmente succede in virtù del «famoso» indulto concesso da Giovanni Paolo II); e questo, a partire dal 14 settembre 2007. Molti sono i cosiddetti «tradizionalisti» che attendono da tempo l'evento; indiscrezioni in merito iniziarono a trapelare non appena il cardinal Ratzinger salì al soglio di Pietro; molti ancora sono scettici sull'effettiva portata innovatrice di tale decisione.
Si afferma che celebrare la santa Messa tradizionale senza aderire appieno alla dottrina tradizionale sia un terribile «pasticcio».
Una celebrazione secondo il messale di san Pio V in tutta la sua incommensurabile bellezza e sacralità

Il punto di vista di chi scrive non può che essere positivo.
E' attendibile certamente sostenere che una preghiera senza vero contenuto dottrinale si presenti quasi «invertebrata», priva di quel sostegno che le assicuri di procedere dritta in cielo, ma è altrettanto verissimo che il modus orandi possieda in sé una forte valenza catechetica, di esigenza più che mai attuale nei nostri giorni confusi.
Del resto, dobbiamo tenere in conto che il modernismo non si curerà soltanto cambiando i formulari della celebrazione; non era in uso il Messale di San Pio V, quando molti aderirono alle tesi del «Reno»?
Soltanto un'autentica rivoluzione dottrinale (coincidente peraltro con un «ritorno» alla totalità ed integralità del messaggio cattolico, mai perduto e da sempre patrimonio inestimabile della santa Chiesa) nei cuori di pastori e fedeli potrà «ringiovanire» (per usare la metafora di Giovanni XXIII) davvero l'aspetto esteriore (non mistico, che è giovanissimo, «senza ruga né macchia né alcunché di simile», dice San Paolo) dell'istituzione ecclesiastica.

Del resto ci dobbiamo chiedere cosa accadde davvero durante quel Concilio Vaticano II (perché qualunque visione si abbia diesso non si può non rilevare che da allora molti furono i cambiamenti sostanziali), discrimine di menti e fedi o punti di riferimento di ribaltoni o liberazioni (a seconda dei punti di vista); un cambiamento nella Chiesa (non della Chiesa), chissà, era necessario.
Non perché la dottrina avesse necessità di essere modificata e neppure perché fosse di rigore «aprirsi al mondo», ma forse proprio perché nei cuori si era spento quell'autentico ardore apostolico capace di convertire le masse; forse l'abitudine pigra di possedere tesori preziosissimi, ha gettato il disprezzo su valori incommensurabili.
Forse la pretesa razionalista di voler sapere tutto e di poter dominare tutto (vecchio peccato tipico dell'uomo occidentale più che dell'orientale) si è mostrata fallace aspirazione di teologi ricchi di cultura, ma poveri di fede e di spirito di carità; forse questo esasperato «geometrismo» (passatemi il termine), nel tentativo buono di spiegare ogni cosa, non avvedendosi di voler ingabbiare anche il mistero di Dio dentro scatole preconfezionate, ha malamente sconfinato, per converso e contrappasso, nell'indefinita confusione di nulla.
Tutto ciò premesso, prendiamo atto del fatto che questa nuova riforma liturgica non potrà che giovare almeno a coloro che in buona fede cercano Dio e la sua gloria; a coloro che, al canto di inni sacri in latino, sapranno estraniarsi completamente dalla dimensione mondana (ahimè tanto presente anche in certe celebrazioni eucaristiche), per entrare nella percezione di una profondità «altra», diverso modo di vivere e pensare.
Se la preghiera (e quanto anelito di preghiera c'è nell'uomo moderno assetato più che mai di senso) salirà frequente al cielo, allora anche la mente seguirà il cuore.

Diverrà quindi difficile sostenere la più o meno sfumata equivalenza delle fedi, l'assoluta democratica uguaglianza di diverse vie di salvezza, la non sovranità imperiale di Cristo, re di cielo e terra, signore dell'universo, la necessaria non laicità dello Stato, l'impensabile contraddizione di una libertà pubblica di culto (salvo le ipotesi di tolleranza, per opportunità), il fenomeno dell'ecumenismo come «conversioni delle chiese» e non (come correttamente deve intendersi) come ritorno alla Chiesa cattolica da parte di scismatici ed eretici.
Il ripristino dell'antica liturgia contribuirà di certo ad un avvicinamento dei perplessi e degli ignoranti, ad un atteggiamento di maggiore serietà formale della medesima celebrazione eucaristica (cosa che darà maggior credito, tra l'altro, presso le chiese ortodosse, le quali - seppur scismatiche ed a volte anche eretiche, hanno da sempre mostrato un attaccamento impeccabile alle tradizioni liturgiche ed al contempo uno sprezzante, ma giustificato rifiuto di una celebrazione «di spalle» al santissimo Sacramento).

A noi, come già scrivemmo, resta essenzialmente il digiuno e la preghiera, il resto lo farà lo Spirito Santo.

Stefano Maria Chiari


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