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Tra Socrate e Narciso
Di Enzo Bianchi
avvenireonline del 14/09/2007


La vita interiore è davvero essenziale per una esistenza piena di senso. Lo sapevano già gli antichi greci, lo scriveva Platone nell'«Apologia»Ma nell'età della tecnica il cristiano deve rifiutare forme di spiritualità anonime e impersonali e non copiare le meditazioni orientali

 

Saranno 200 gli appuntamenti del «Festival della Filosofia» che si svolge tra Modena, Carpi e Sassuolo da oggi a domenica promosso dalla Fondazione San Carlo. Al sapere è dedicata questa settima edizione del Festival, che si svolge sotto il patrocinio dell'Unesco. Tra gli ospiti J. Rifkin, J. Hillman, Z. Bauman, M. Augè, F. Jullien, G. Ravasi, E. Bianchi, S. Givone, R. Bodei. Pubblichiamo la lectio magistralis che terrà domani alle 11.30 Enzo Bianchi, priore della comunità di Bose.

La vita interiore è quell'esperienza essenziale all'uomo per umanizzarsi, per realizzare la propria vocazione profonda e così rifuggire il rischio di un'esistenza dissipata, preda del non-senso. È quella vita che inizia con il movimento elementare di presa di distanza da sé e sfocia nella domanda decisiva: «Chi sono?».

Scrive Platone:

«Il più grande bene per l'uomo è interrogarsi su se stesso, e indegna di essere vissuta è una vita senza tale attività» (Apologia di Socrate 28,38a).

La riflessione su questo tema è cara alle culture di ogni tempo e latitudine. Nell'occidente essa ha trovato la sua formulazione più pregnante nel famoso adagio gnôthi sautón, «Conosci te stesso», scolpito sul frontone del tempio di Apollo a Delfi.
Ora, come ha osservato giustamente Étienne Gilson,

«i greci dicono: conosci te stesso per sapere che non sei un Dio, ma un mortale; i cristiani dicono: conosci te stesso per sapere che sei un mortale, ma l'immagine di un Dio».

Affermazione di capitale importanza per una corretta comprensione della vita spirituale in senso cristiano. Al centro della rivelazione biblica non vi è infatti lo sforzo dell'uomo teso a conoscere se stesso, ma l'affermazione fondamentale che Dio conosce l'uomo: «Signore, tu mi scruti e mi conosci», dice il salmista (Sal 139,1).

Dio conosce la vita conscia e la vita inconscia dell'uomo, conosce anche ciò che l'uomo non può conoscere di sé; l'uomo, per parte sua, deve conoscere di essere conosciuto da Dio, cioè di essere preceduto, amato, chiamato e orientato da Dio: per la Scrittura è all'interno di questo movimento basilare che l'uomo può conoscere se stesso.
In tale ottica, è evidente che la conoscenza di sé da parte dell'uomo è assolutamente inseparabile dalla conoscenza di Dio. Quest'ultima, infatti, senza la conoscenza di sé produce la presunzione, mentre la conoscenza di sé senza la conoscenza di Dio ingenera la disperazione. Tale duplice conoscenza, evento di grazia e di rivelazione, produce invece l'umiltà. Che altro è, infatti, l'umiltà se non l'autentica conoscenza di sé, l'adesione alla propria creaturalità, il riconoscimento dell'humus da cui l'uomo proviene e che può condurlo a umanizzarsi, a divenire homo? Siamo qui alle radici della vita spirituale cristiana.

Ora, se analizziamo la situazione attuale del cristianesimo nel nostro occidente, troviamo non pochi ostacoli che si frappongono alla pratica della vita interiore e della vita spirituale cristiana, ostacoli annidati nel clima culturale che si respira e ormai ben insediati anche al cuore della vita ecclesiale. Occorre pertanto vigilare affinché quello che si persegue nella vita spirituale sia davvero l'incontro con il Dio vivente, tre volte santo, cioè Altro. Vita spirituale cristiana, dunque: non la ricerca di una fusione impersonale con Dio, ma vita segnata dall'alleanza quale incontro di alterità. C'è molta voracità religiosa oggi, anche nella chiesa: si ricerca più la religione che la fede, si vorrebbe un Dio immediatamente accessibile, disponibile nelle sue operazioni, e si rigetta l'arte dell'incontro e della comunicazione nella differenza, nell'alterità, con accettazione delle distinzioni e della distanza. Si rigetta, in sostanza, la santità di Dio. Questo atteggiamento regressivo e narcisistico cerca unioni fusionali, rapporti sensoriali, desiderio di una unità panica e impersonale... No, va ribadito con forza che nella spiritualità crist iana la via non è quella della divinizzazione facile e impersonale, ma un lungo cammino che va dall'essere generati per grazia quali nuove creature al diventare figli nel Figlio di Dio attraverso una sequela vissuta nella storia, nella comunità dei credenti, nella compagnia degli uomini: occorre un andare a Dio guidati dallo Spirito santo.

Va rilevata un'altra tentazione, anch'essa assai diffusa oggi: quella di cercare Dio confidando in tecniche di iniziazione, in pratiche di concentrazione, in metodi di meditazione spesso originari dell'estremo oriente. L'età della tecnica ci pone di fronte al fenomeno della «tecnicizzazione dello spirito», ma la vita spirituale cristiana e, al suo cuore, la preghiera, sono quanto di meno tecnico possa esistere. Essa è un cammino che attraverso le mediazioni tipiche della tradizione cristiana (la Scrittura, i sacramenti, il padre spirituale...) tende a guidare l'essere umano a un esodo, a un'uscita da sé che, tramite l'adesione personale a Cristo e l'acquisizione del dono dello Spirito, lo renda capace della vita di agape a immagine del suo Signore. Nella vita spirituale cristiana, alla centralità dell'«io» viene cioè opposta la centralità del Cristo - «non sono più io che vivo, ma è Cristo che vive in me» scriverà san Paolo ai Galati -, al benessere interiore o all'espansione delle proprie facoltà psichiche, la vita di carità e la libera donazione di sé per amore. Secondo il linguaggio tradizionale cristiano, questo significa che la vita spirituale è sotto il segno della grazia: alla tentazione pelagiana, il vero spirituale cristiano oppone l'espressione della sua totale apertura alla grazia.
Certo, nella vita spirituale sono necessari anche metodi, esercizi, ascesi, ma chi salva, chi conduce alla comunione con Dio è lo Spirito santo, è la grazia, non ciò che proviene dall'uomo. L'orgoglio umano porta a pensare la vita spirituale come una vita in cui noi restiamo i protagonisti, una vita segnata dalle nostre opzioni , dai nostri progressi, dalle nostre contraddizioni e cadute. Ma nella spiritualità cristiana risuoneranno sempre l'esclamazione di san Paolo agli Efesini - «E' per grazia che siete stati salvati» e le parole di Gesù raccolte dall'evangelista Giovanni: «Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché facciate frutto e il vostro frutto rimanga».

Sì, la vita spirituale cristiana proprio per la sua docilità all'agire dello Spirito santo, diviene vita di profonda fecondità.

da avvenireonline del 14/09/2007