G.r.i.s. Gruppo Ricerca Informazione Socio Religiosa Diocesi di Rimini
Rieccoci al tormentone natalizio. Sia ricerca dello scoop sensazionalistico,
sia nuovo sussulto del diavoletto agnostico-laicista, tutti gli anni la
buona vecchia tradizione cristiana viene insidiata da 'sensazionali' scoperte
che la minerebbero alle radici: e che poi si rivelano, sistematicamente,
o scoperte dell’acqua calda o vere e proprie bufale. È quest’anno
di scena un articolo della rivista Focus-Storia, che chiama in causa due
illustri studiosi, Mauro Pesce (studioso di storia del cristianesimo che
dovrebb’essere noto anche al grande pubblico per ben altri meriti
che non quello di aver cofirmato un libro con Corrado Augias) e Francesco
Scorza Barcellona, raffinatissimo conoscitore della problematica degli apocrifi
evangelici. Sostiene quindi la rivista divulgativa diretta da Sandro Boeri
che i 're' magi, noti dal racconto evangelico di Matteo, 2, 1-2, non sarebbero
forse mai esistiti: l’evangelista Matteo è l’unico dei
quattro testi 'canonici' a parlarne; il contesto del racconto di Matteo
sembrerebbe indicare piuttosto un «artificio letterariopropagandistico
», un messaggio lanciato ai non-ebrei (i quali potevano essere attratti
dal fatto che il tanto atteso Messia si fosse rivelato a degli astrologi-sacerdoti
pagani prima e piuttosto che non agli ebrei stessi) e al tempo stesso sforzarsi
di far quadrare la notizia dell’avvenuta nascita del Messia con le
profezie dei tributi che gli sarebbero stati recati 'dall’Arabia'
(e si vedano Salmi, 72/71, 10-11, 15 e Isaia, 60, 6). Da dove derivano quindi,
conclude lo scoop, tutti i dettagli e le cianfrusaglie della tradizione:
che i magi fossero 're', che fossero tre, che avessero dei nomi precisi,
che viaggiassero in carovana eccetera?
La risposta – e qui gli studi di Scorza Barcellona sono fondamentali
– è evidente: dai tardivi, fantasiosi vangeli apocrifi (cioè
di dubbia tradizione e, per la Chiesa, di non accertata ispirazione divina),
che la tradizione cristiana, tanto latina quanto greca e orientale, ha sempre
tenuto a debita distanza e che sono sovente frutto di elaborazione ereticale
(soprattutto monofisita e nestoriana). Anche la povera cara stella cometa
riceve la sua porzione di mazzate: non se ne parla nemmeno; il corpo celeste
che per brillantezza ha la maggior probabilità di sostenere quella
parte è la cometa di Halley, che però apparve nell’87
e poi nel 12 a.C. per tornar visibile solo nel 66 d.C.
Insomma, se Focus-Storia avesse ragione, sarebbe una bella batosta per noialtri
cristianucci che ci apprestiamo a fare il presepio. Ma allegri: niente paura.
Siamo solo a metà strada tra la scoperta dell’acqua calda e
la bufala assoluta. Anzitutto, che i magi di Matteo non fossero re, che
non fossero tre, che non avessero nomi precisi eccetera, lo sapevamo da
tempo. Si tratta di tradizioni stratificatesi grosso modo tra VIII e XII
secolo d.C. Il fatto è che i vangeli apocrifi, emarginati dalla tradizione
ecclesiale, erano noti e molto diffusi, anche a livello di racconto orale.
La maggior parte delle nostre conoscenze tradizionali sui Magi deriva da
due fonti: la translatio delle loro supposte reliquie da Milano a Colonia,
voluta da Federico Barbarossa nel 1164, e il testo del domenicano Giacomo
da Varazze, vescovo di Genova alla fine del Duecento e autore di quel meraviglioso
zibaldone agiografico ch’è la Leggenda aurea.
Da queste due fonti primarie dipende la tradizione popolare occidentale,
radicatasi dal Cinquecento per il tramite iberico anche in America latina,
e alla quale è auspicabile si resti tutti affettuosamente fedeli:
salvo poi la doverosa distinzione, all’interno di essa, di quel ch’è
storicamente e filologicamente verificabile da quel ch’è invece
leggenda. E veniamo alla cometa Nessuno scrive che fosse tale: né
Matteo, né gli apocrifi. I magi di Matteo vengono ap’anatoloù,
nel testo greco: ed è lì che hanno visto la 'stella', un corpo
che almeno apparentemente si muove ma che non ha code di sorta. Fu poi Giotto,
impressionato dalla cometa di Halley da lui vista nel 1301, che se ne ricordò
allorché, fra 1305 e 1310, l’affrescò nella Cappella
degli Scrovegni a Padova. Da allora, quella che nella Bibbia vulgata era
semplicemente « stella Eius in oriente » venne abitualmente
raffigurata come una cometa. Prima, sarebbe stato impossibile: tra l’altro,
secondo la tradizione astronomico-astrologica già ellenistica e poi
medievale, la cometa annunziava sì mutamenti, ma in genere di segno
negativo. Però, fenomeni celesti verificatisi esattamente negli anni
della supposta nascita effettiva di Gesù, vale a dire tra il 7 e
il 4 a.C. circa, ce ne furono parecchi. Lo stesso Keplero segnalò
che nel 7 a.C i due pianeti Giove e Saturno si congiunsero per tre volte
consecutive, causando un effetto ottico di straordinaria brillantezza; nel
febbraio del 6 a.C.
si registrano le congiunzioni di Giove con la Luna e di Marte con Saturno
nella costellazione dei Pesci. Gli astronomi cinesi segnalarono nel 5 a.C.
un fenomeno astrale di grande lucentezza nelle costellazioni dell’aquila
e del Capricorno: esso rimase visibile una settantina di giorni. Si trattava
di una nova, una specie di esplosione nucleare causata dall’accumulo
d’idrogeno che produce un 'lampo' di breve durata, poi visibile magari
molti anni luce dopo l’esplosione effettiva. Oggi, gli astronomi parlano
di nove o addirittura di supernove. Se i magi, assistendo da qualche parte
della Persia al fenomeno registrato in Cina nel febbraio-marzo del 5 d.C.,
mossero più o meno allora verso occidente seguendone il corso apparente,
dovettero arrivare in Giudea verso la fine della primavera. Ciò entra
in conflitto con la data tradizionale della nascita del Cristo (il 6 gennaio
per le Chiesa orientali, il 25 dicembre per quella romana).
Ma sappiamo bene che le due date tradizionali del natale sono state ricavate,
rispettivamente, da un’antica festa isiaca delle acque (da qui la
liturgia dell’Epifania) e da una festa solare dell’Urbe. In
realtà, visto che all’atto della nascita c’erano attorno
a Betlemme (quindi a circa ottocento metri sul livello del mare) dei pastori,
i quali secondo le tradizioni della transumanza si trasferiscono in alto
durante i mesi caldi, si direbbe più probabile che Gesù sia
nato appunto tra la primavera e l’autunno piuttosto che non in inverno,
quando nell’Alta Giudea fa freddo. Resta la tesi della citazione dei
magi, in Matteo, per 'gettare' in qualche modo un ponte ai gentili. Un’idea
audace, tanto che gli altri evangelisti canonici non l’hanno raccolta.
Matteo è l’unico a parlarne: e lo fa, dobbiamo sottolinearlo,
soprattutto in un contesto preciso, quello stesso che gli ha imposto di
cominciare il suo testo con la declinazione genealogica di Gesù,
quindi con la prova della sua discendenza dal re David e della Sua legittimità,
pertanto, come Rex Iudaeorum secondo il testo di Michea, 5, 1-3. Infine,
un appunto va pur fatto a tutto l’impianto del discorso sostenuto
da Focus-Storia. I magi non sono personaggi di fantasia. È vero che
in tutto l’Oriente, al tempo di Gesù, si chiamavano correntemente
magoi gli astrologhi girovaghi, i ciarlatani, insomma i 'magi randagi' a
dirla col film di Sergio Citti del 1996. Ma i magi veri c’erano, eccome:
erano gli astrologi-sacerdoti d’origine meda, custodi dell’antica
sapienza della religione mazdea riformata nel VI secolo a.C. da Zarathustra.
Una religione ancora viva tra l’Iran e l’India attuali, e che
la rivoluzione islamica khomeinista ha rispettato, trattando i mazdei come
ahl al-Kitab, 'popolo del Libro' detentore della Rivelazione divina affidata
al testo dell’Avesta. È nella loro tradizione che si parla
del Saosihans, del 'Soccorritore' nato da una Vergine, annunziato da una
stella lucente e destinato a salvare il mondo. Matteo però, povero
pubblicano galileo, dei magi mazdei non doveva saper un bel niente o quasi:
com’è che con tanto sostanziale esattezza ha mostrato reminiscenze
di tradizioni che noi conosciamo soltanto dall’Avesta, giuntoci peraltro
attraverso redazioni tardive e non anteriori comunque al III secolo d.C.?
(da Avvenire del 27.11.2007)