Sei in: Documenti - vari - altri documenti
San Paolo: il maratoneta del Vangelo.
Di Marta Sordi avvenireonline 26/07/2007

L'annuncio del bimillenario di San Paolo, da celebrare nel 2008/2009 induce a ripensare le vicende storiche dell’Apostolo, che la Chiesa romana ha sempre associato, nella sua venerazione, a Pietro come suo cofondatore: lo rivelano la lettera di Clemente Romano ai Corinzi, databile alla fine del I secolo, e un’iscrizione ostiense pressoché contemporanea (CIL XIV 566) in cui un membro della gens Annaea, la stessa di Seneca, pone una dedica al figlio M. Annaeo Paulo Petro, con un inconsueto doppio cognome, che compare solo qui. Nel II secolo Gaio, un presbitero della Chiesa di Roma, polemizzando con un montanista sui luoghi dove erano sepolti gli Apostoli, dichiara: «Io potrò mostrare i trofei degli Apostoli: se andrai in Vaticano e sulla via di Ostia, troverai i trofei di coloro che hanno fondato questa Chiesa» (Eus. H. E. II, 25,7).
La posizione assunta fin dall’inizio dalla Chiesa di Roma e poi da essa mantenuta nei secoli smentisce ogni presunta contrapposizione di Paolo a Pietro e la pretesa di fare di Paolo il solo responsabile del passaggio del Cristianesimo da setta giudaica a religione universale, una pretesa, del resto, già autorevolmente smentita dagli Atti degli Apostoli e dalle lettere Paoline: l’apertura ai non ebrei era stata infatti già attuata da Pietro, con il battesimo del centurione romano Cornelio e della sua famiglia (Atti Ap. cap. 10); il confronto fra il Vangelo predicato da Paolo e quello degli Apostoli, con la preoccupazione di aderire ad esso «per non aver corso invano», è stato testimoniato dai due viaggi di Paolo a Gerusalemme di cui parla egli stesso nel cap. 2 della lettera ai Galati e di cui riferiscono gli Atti degli Apostoli.

Il contrasto di Paolo con Pietro ad Antiochia, di cui parla la stessa lettera ai Galati, è di natura pastorale, non di principio: Pietro cerca di evitare ogni scontro diretto con gli ebrei e porta questo stile anche verso i pagani nella primissima comunità romana (come rivela la riservatezza di Pomponia Graecina), Paolo affronta apertamente gli ebrei, in Asia come a Roma, e, di fronte al loro rifiuto, dichiara altrettanto apertamente che si rivolgerà ai pagani.
La prima predicazione di Paolo ai Gentili, dopo la morte di Stefano e la sua conversione, databile, a mio avviso, al 34 d. C., avviene di seguito all’incontro con Sergio Paolo, proconsole di Cipro, verso il 47/48 d. C.: negli Atti degli Apostoli, 13,2, si ricorda che la partenza di Paolo e Barnaba per Cipro fu il frutto di un’ispirazione divina e che, inizialmente, Paolo e Barnaba predicarono solo nelle sinagoghe; fu il proconsole a chiamare Paolo presso di sé e a convertirsi alla fede (il «credette» – episteusen – degli Atti è inconfondibile) dopo averlo ascoltato.
L’incontro ebbe un effetto immediato nella onomastica stessa dell’Apostolo, che da questo momento assunse il cognome di Paolo al posto di Saulo e nella scelta del primo viaggio missionario in Asia Minore, (e non del secondo) che ebbe come meta le regioni interne della Panfilia, Pisidia, Licaonia, appartenenti alla provincia di Galazia, collocate sulla via Sebaste e colonizzate dai Romani; in esse i Sergi Paoli avevano vasti possedimenti. Con questa famiglia senatoria, discendente, a quanto sembra, dai primi coloni romani insediati da Augusto, si stabilì poi anche a Roma un rapporto duraturo, rappresentato dal collegio fondato dal figlio di Sergio Paolo e continuato dalla nipote Sergia Paolina, da identificare, a mio avviso, con una chiesa domestica cristiana.
Fu ancora, secondo gli Atti 16,8 sgg., una visione divina a imporre a Paolo, in Troade, di lasciare l’Asia per evangelizzare l’Europa dove egli passò subito, predicando nella colonia romana di Filippi, a Tessalonica e a Berea in Macedonia, e, di là, ad Atene (dove il famoso discorso dell’Areopago riprende i motivi, già sperimentati a Listri in Licaonia, della predicazione rivolta ai pagani sulla rivelazione cosmica di Dio creatore e ordinatore del mondo), ed infine a Corinto dove Paolo rimase fino all’estate del 51, passando poi di nuovo in Asia a Efeso, capitale della provincia dove si fermò a lungo.
Da Efeso egli partì per raggiungere Gerusalemme, dopo aver ripercorso la Macedonia e la Grecia. Arrestato a Gerusalemme nella primavera del 54, vi restò prigioniero fino al 55, quando, scaduto il biennio della procuratela di Antonio Felice, successe a lui Porzio Festo, che, avendo Paolo, che era cittadino romano, appellato a Cesare, lo mandò a Roma, dove giunse nella primavera del 56 con un viaggio fortunoso, e dove rimase, in attesa del processo, sotto la custodia dei pretoriani agli arresti domiciliari, disponendo della massima libertà, secondo gli Atti, di incontri e di parola.

La venuta di Paolo a Roma, alla cui Chiesa egli aveva già scritto prima del 54, quando Claudio era ancora vivo (come risulta dal cap. 16 della lettera ai Romani) incise profondamente nella vita della comunità romana che fino ad allora aveva agito con molta riservatezza e prudenza sia nei riguardi degli ebrei che dei pagani ed aveva evitato ogni scontro con la grossa comunità giudaica locale, grazie all’ospitalità offerta da pagani e da ebrei convertiti nelle proprie case.
Paolo invece convocò subito presso di sé i notabili della locale comunità giudaica, che gli chiesero informazioni sulla nuova «setta», di cui sapevano che suscitava «dovunque» (ma non a Roma) scontri col giudaismo. Era lo stile che la comunità petrina aveva adottato anche con i pagani e che aveva indotto Pomponia Grecina a nascondere per 40 anni col lutto per un’amica la sua adesione ad una superstitio externa che era certamente il Cristianesimo (Tac. Ann. XIII 32).
Con l’arrivo di Paolo avvenne subito lo scontro con la comunità giudaica, e il Cristianesimo, come lo stesso Paolo dice nella lettera ai Filippesi, divenne presto noto nella corte e nel pretorio: la predicazione cristiana acquistò ardire, ma suscitò anche contese e invidie. Il governo del giovane Nerone era ancora nelle mani di Seneca e del prefetto del pretorio Afranio Burro, il cui tribunale assolse nel 58 Paolo, come era stata assolta nel 57 Pomponia Grecina, affidata, per evitare scandali, all’arcaico istituto del tribunale del marito.
Con lo stoico Seneca, di cui Paolo aveva conosciuto nel 51 a Corinto il fratello Gallione, proconsole d’Acaia, l’Apostolo ebbe forse un rapporto più diretto, se, come a me pare necessario, si può riaprire il discorso sulla probabile autenticità delle dodici lettere più antiche dell’epistolario fra Paolo e Seneca, che si è forse troppo frettolosamente ritenuto apocrifo, ma che Gerolamo riteneva autentico.
Nel 62 d.C., con la morte di Burro, il ritiro di Seneca, il ripudio di Ottavia e le nozze con la giudaizzante Poppea, Nerone ruppe con la classe dirigente stoica e fece di essa e dei cristiani, ugualmente avversi alle sue pretese teocratiche e autocratiche, oggetto della sua persecuzione.
Con gli stoici si usò la legge di lesa maestà, contro i cristiani bastò riesumare il vecchio senato consulto del 35, nato dal rifiuto opposto dal senato alla proposta di Tiberio di riconoscere come lecito il culto di Cristo: Paolo, che era ben noto alla corte, fu arrestato e condannato per superstitio illicita certamente prima dell’incendio del luglio del 64: le condizioni ancora umane della seconda prigionia, rivelate dalla II lettera a Timoteo, mostrano che la terribile accusa di incendiari, rivolta da Nerone ai cristiani per un massacro di massa, non era stata ancora formulata. Paolo fu decapitato sulla via Ostiense.

da avvenireonline del 26/07/2007