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Alcuni teologi protestanti accusano: negli Usa
molti cristiani vedono il successo di Israele come un segno della venuta
del Messia. Il metodista David Curtis: «70 milioni di americani la pensano
così»
«L'escatologia conta?»: è il tema dell'ultima predica
del reverendo David Curtis, pastore metodista in Virginia. La sua risposta:
eccome conta. «La nostra visione dei tempi ultimi forma la nostra visione
del mondo e la nostra politica», ha spiegato ai suoi fedeli. Ma il reverendo
Curtis non è uno dei 70 milioni di "cristiani rinati" americani
convinti che l'America è l'Impero del Bene dei Tempi Ultimi, e che aiutando
Israele a prendere possesso della Terra Santa secondo le promesse bibliche,
l'America accelera il secondo avvento di Gesù.
Al contrario: Curtis è uno dei sempre più numerosi
pastori protestanti che stanno prendendo le distanze da questa visione apocalittica,
che si traduce in una politica di totale appoggio a Sharon. Il 10 ottobre
scorso la Chiesa presbiteriana Usa (2,5 milioni di fedeli) ha pubblicamente
criticato Israele per il suo espansionismo militare nei Territori; e la
Chiesa episcopale sta per seguirne l'esempio.
Stephen Sizer, pastore anglicano britannico, ha
scritto un libro per denunciare l'eccessiva sicurezza dei protestanti americani
di essere gli strumenti della divina provvidenza. Il suo saggio, Roadmap
to Armageddon (Armageddon è il luogo della battaglia finale apocalittica)
sta facendo breccia negli ambienti fondamentalisti Usa.
Sono
i segni di un ripensamento?
L'alleanza "spirituale" fra la "destra
cristiana" Usa e la destra israeliana data dagli anni '70, quando Menachem
Begin fu eletto premier in Israele, sostituendo il secolarizzato partito
laborista israeliano col fondamentalista Likud. Allora, ha spiegato il reverendo
Curtis ai suoi fedeli, «la strategia del Likud fu semplice: separare (il
presidente) Carter dalla sua base fondamentalista, e portare questa base
ad appoggiare Israele nella sua opposizione al piano di pace dell'Onu per
il Medio Oriente».
Successo pieno, anche grazie a telepredicatori
come Jerry Falwell e la sua Moral Majority, Tammi Bakker e Pat Robertson.
«Falwell sostiene che il futuro di Israele è più importante di ogni altra
questione politica», ha detto Curtis, «che gli ebrei hanno sulla Palestina
un diritto fondato sulla teologia e sulla storia. Dice che l'ha imparato
dall'Antico Testamento. Ma Falwell dovrebbe leggere un po' anche il Nuovo».
E con molte citazioni da Matteo e San Paolo, Curtis sostiene che «il sionismo
cristiano è un'eresia».
Da Tel Aviv lo scrittore e pacifista Uri Avneri
si inquieta della "destra religiosa" israeliana, la quale ha cominciato
a definire gli ebrei secolari "amaleciti": popolo che Javeh avrebbe
ordinato di "sradicare". «È la base teologica per la guerra civile»,
protesta Avneri. L'escatologia conta, eccome.
Maurizio
Blondet
Fonte:www.avvenire.it
30.09.04