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Tecnicismo Spirituale
Stefano Maria Chiari 21/07/2007

Lontano da ogni ipotesi quietista di lassismo morale (ignaro della fondamentale componente ascetica costituente un momento imprescindibile anche della vera preghiera) esaminiamo l’errore di fondo impregnante la maggioranza della sensibilità e cultura spirituale della nostra epoca.


L’espressione utilizzata, «tecnicismo spirituale», lasciatela passare, perché è soltanto una semplice (anche se impropria) modalità descrittiva di un fenomeno, non altrimenti facilmente determinabile.


Cosa intendiamo? Cos’è?


Nella vita spirituale esistono diversi modi di atteggiarsi nei confronti del «mistero»: uno può essere quello della meraviglia e dell’incontro; l’altro quello del «possesso».
Non stiamo riferendoci necessariamente alle false religioni, alcune delle quali sembrano proprio connotare il percorso spirituale intrapreso di questa particolare sfumatura «appropriativa» (argomento sul quale torneremo), ma parliamo di un fenomeno di più vasta portata, che può interessare anche il cattolico praticante.
L’attitudine di chi vive il «mistero» come incontro è quella di relazionarsi con «qualcuno», del quale all’inizio del viaggio si necessita magari inconsapevolmente e di cui, poi, si scopre di avere sempre di più un bisogno apicale; la meraviglia della scoperta rinnovata di cose sempre nuove e sempre antiche lascia l’animo dello spettatore orante colmo di un’improvvisa gioia e di indicibile stupore.
Finalmente sprovvisto si accorge di essere «a casa», e mai avrebbe giurato si trattasse di una dimora così bella ed accogliente.

Il viandante non resta mai fermo; impossibile che si annoi; giorno dopo giorno procede in un’avventura fantastica, che lo aiuta a sentirsi veramente vivo, perché ha saputo cogliere, per grazia e non per merito (se non minimo), la linfa vitale che sgorga dalla medesima fonte della vita.
Il suo itinerario potrà essere brusco e faticoso, magari cadrà qualche volta, ma sarà sempre un incredibile tuffo in un oceano sterminato dalle inaspettate profondità, dalla bellezza estrema di colori intensi, e dagli orizzonti limpidi e senza fine.
L’incontro sarà tale da avere in lui un effetto trasformante e totalizzante: non potrà più vivere senza essere quel che è divenuto, fuso a livello conscio ed inconscio, direzionato da un cuore e da un intelletto perfettamente unificati ed obbedienti appieno alle mozioni dello Spirito Divino.
Per lui, compiere la volontà divina sarà esigenza imprescindibile; i comandamenti, luce per gli occhi; ebbrezza del cuore, amare Dio e gli altri, con tutta la forze dell’essere; l’acquisizione della virtù soprannaturale della carità, spontaneo modo di vivere.
Tali saranno le risultanze in cui si imbatterà il piccolo, che, colmo di indicibile stupore, si ritroverà col Padre e lo sentirà suo, pur percependolo completamento distinto da sé; lo troverà diverso, inaspettato, totalmente Altro; ma, in questo, anche il rinvenire novità sarà senza misura.
La preghiera sarà per costui il momento sublime di un rinnovato percorso quotidiano; giorno dopo giorno, sempre più soggiogato ed affascinato, sarà chiamato a volare oltre i confini del suo sensibile e percettibile vivere.
Chi vive del «mistero» sa che il molto che potrà fare sarà sempre nulla rispetto all’azione dell’Altro, il Quale precorrerà come il Padre misericordioso il figlio prodigo, sempre ansioso di riportare alla vita vera colui che smarrì cuore e ricchezze in dissoluti passatempi mai forieri di gioia autentica e profonda, ma solo apportatori di delusioni cocenti ed esiti disastrosi ed autodistruttivi. L’atteggiamento spirituale di fondo della sua esistenza sarà quello di ascoltare l’eterno, ricevendo l’affluente meraviglioso dell’acqua che disseta definitivamente; la sua preghiera, quindi, sarà un lasciar fare, lasciarsi amare e lasciar vivere il Dio vivo dentro di sé.
Questo acconsentire non sarà mai passivo lassismo, coincidente con un rifiuto di volitiva mozione dell’essere; l’ascesi, come si diceva, è parte sempre essenziale di questo processo.
L’azione di costui consisterà nel soggiogare, con l’aiuto della grazia e mediante il proprio sforzo continuo e mai arrendevole, le passioni disordinate del corpo e dell’anima; la privazione di ogni ostacolo che, posto di traverso, non consenta di accedere oltre la soglia del proprio piccolo e confinato «io».

Pregare «asceticamente» significa disporsi alla purificazione interiore dell’«io», il quale dovrà sempre più diminuire per far crescere il vero Messia nel cuore; l’ascesi sarà chiusura dei sensi materiali e spirituali (pensieri, parole, opere, immagini), in lotta impegnativa e continua, a tutto ciò che non sia Dio; duro certame di spossante fatica, che confluirà in una liberazione definitiva e pacifica, apertura completa alla volontà del Padre ed amoroso fremere del tocco dello Spirito Santo; sarà vera esperienza di Gesù nel cuore e familiarità celeste delle schiere beate di angeli e di santi ...
La fede cattolica insegna questo ed insegna come viverlo.
L’anima che cerca Dio, nella sua verità, con l’ausilio che viene dall’alto, si inoltrerà sempre di più nel «mistero» che la sovrasterà, ma al contempo la legherà sempre di più a Sé, purificando, santificando ed infine divinizzando la sua povera condizione.
Questo cammino ascetico e mistico, presente nello splendore della verità solo nella Chiesa cattolica, è per tutti e Dio a tutti dà possibilità di intraprenderlo, come Lui sa, anche al di fuori di ogni possibile intuizione umana (operando però un movimento sempre verso la verità).
La via opposta è quella che definivamo appunto del tecnicismo: l’approccio sarà fondamentalmente superbo; non si rinviene una necessità da colmare, ma soltanto un ego da dover esasperatamente appagare in maniera disordinata (quindi, alla fine, ingigantendolo) e così impoverendolo.
La tecnica avrà precedenza su ogni altro fattore considerato; l’importante, anche nella vita di orazione, sarà il possesso di un metodo fisso e rigido (senza aperture alle mozioni dello Spirito), di una operatività fattiva che crede essere il massimo divenire filantropo per il prossimo.
Il tecnicismo spirituale svuota di senso e profondità la carità, edulcorandola e privandola della sua essenziale matrice mistica, che ne costituisce il perno portante e motore trainante: l’amore da Dio e per Dio.
Il cristiano «tecnicista» non potrà mai comprendere l’affermazione «senza di me non potete far nulla», perché in fin dei conti, presumerà, magari inconsciamente di poter fare o essere qualcosa, prescindendo dall’Unico che realmente è.

Il dramma di questo atteggiamento di profonda chiusura si manifesta appieno nelle pratiche orientali, orientaleggianti, cabalistiche o (genericamente) esoteriche.
La salvezza che proviene da Cristo, per l’uomo orante che sa meravigliarsi del «mistero», è assoluto imprescindibile momento, insostituibile centro della propria esistenza; per il «tecnicista» sarà un evento irrilevante, potendo egli autodivinizzarsi, riscoprire in sé la propria realtà divina, l’immagine eterna impressa nel suo spirito, ora sopita da un sonno, il cui torpore non consente risvegli repentini, ma faticose pratiche, digiuni o astinenze (spesso esagerati ed inutili), esercizi di meditazione (mai preghiera vera, che è relazione), focalizzati nella riscoperta delle energie nascoste dell’essere divino omnipervadente.
Non c’è spazio per la reciprocità di un dialogo; l’uomo inizierà un soliloquio mortale, verso il dirupo eterno di sé e del suo spirito.
Nell’illusione di potersi auto-divinizzare, di poter annullare le conseguenze di una caduta, che non lo riguardano personalmente, ma solo per accidens e senza la verità di un peccato da dover purificare e sanare, la sua umanità sarà ritenuta mai malata o in fin di vita, ma solo un po’ addormentata, mentre, lentamente, il disfacimento estremo del suo essere procede corrosivo verso un cancro che si rifiuta di prendere in considerazione o anche solo di vedere.
Il tecnicismo è superbo; per questo presume la propria giustezza e bontà ed opera attraverso il meccanicismo di rituali magici o esoterici, pretenziosi di dominare forze della natura e del cosmo o addirittura occulte, capaci (si ritiene) di sondare anche il mondo dell’oltretomba, con contatti medianici e suggestive esperienze paranormali.
Pensa di potersi redimere o liberare da solo, suppone utile per sé la via indicata da altri solo nella misura in cui abbia la prova del suo utile.
E’ l’atteggiamento di colui che reputi che la preghiera (momento adorante per eccellenza) possa coincidere con l’azione (quando invece ne è conseguenza e fulcro vitale), che, tutto sommato, basta amare per salvarsi, senza comprendere «come» si deve amare e senza capire che, diversamente, non si ama affatto.
Ritiene, in pratica, assolutamente superfluo credere in Dio; l’unica fede prestata è quella al proprio «infallibile» criterio.

L’orante umile, al contrario, si sa nulla ed attende dal Tutto le direttive di ogni agire o respirare, se necessario; non si vanta e non si gonfia, non cerca il suo interesse; lascia che il Bene (Altro da sé) lo pervada, tanto da divenire tutto in tutti.

Stefano Maria Chiari

EFFEDIEFFE