G.r.i.s. Gruppo Ricerca Informazione Socio Religiosa Diocesi di Rimini
Il termine "tradizione", per effetto
della graduale corruzione del linguaggio, ha perso, negli ultimi tempi,
gran parte della sua primitiva connotazione religiosa ed è oggi usato, per
lo più, ad esprimere concetti totalmente differenti o del tutto secondari
e derivati rispetto al significato originario. Tali concetti riguardano
anche aspetti dell'esistenza profana. Così, dicendo "tradizione"
si esprime da un punto di vista antropologico, il complesso di caratteri
significativi distintivi della cultura di un popolo per cui si distingue
una "tradizione artistica", da una "tradizione tecnologica"
da una "tradizione religiosa", in quanto la religione fa parte
dei fattori culturali. Si definisce pertanto "tradizionale" un
complesso culturale proprio ad una determinata cultura considerata in una
determinata epoca e d'accordo a parametri che ne definiscono, in un certo
senso, la normalità.
Nel linguaggio comune "tradizione" significa,
anche e soprattutto, "abitudine" e "tradizionale" è
ciò che è entrato a far parte delle consuetudine, come certi aspetti del
costume o della moda e persino certe abitudini alimentari. Il termine non
nasconde un'accezione dispregiativa in quanto spesso è usato ad indicare
ciò che appartiene al passato (ad esempio la "morale tradizionale")
e che va dunque combattuto in nome del progresso.
Allo stesso tempo la parola "tradizione"
si presta ad infondere un certo senso di sicurezza e stabilità, ispira una
solida fiducia in una qualità sperimentata negli anni evocando la romantica
immagine del buon tempo passato in un momento in cui si guarda con crescente
apprensione e diffidenza verso certi discutibili aspetti del "progresso".
Per tal motivo si assiste ad un recupero massiccio del termine "tradizione"
nel linguaggio usato dalla pubblicità.
Ciò serve a sottolineare enfaticamente la lunga
esperienza che garantisce la genuinità del prodotto evidenziando la sua
differenza rispetto ad altri prodotti ottenuti con sistemi "non tradizionali".
In tutt'altro ambito, quello di certi orientamenti
del neo-spiritualismo, i termini "tradizionalismo" e "tradizionalista"
sono usati ad esprimere l'adesione ad una posizione culturale, ma anche
religiosa e spesso politica, che esplicitamente si oppone al "progressismo"
e perciò stesso si fa garante della conservazione di un patrimonio spirituale
ideale.
Si tratta, a ben vedere, di neologismi usati impropriamente
in quanto la stessa desinenza dei termini (-ismo, -ista) ne palesa il carattere
dialettico proprio agli schieramenti ideologici politici e/o confessionali,
ma che mal si addice ad una connotazione genuinamente spirituale, e per
ciò stesso scevra dallo spirito di parte.
Esiste, in quest'ambito, un non meglio definito
"tradizionalismo cattolico", di segno dichiaratamente opposto
allo spirito riformista e progressista che ha largamente contraddistinto
alcune parti del cattolicesimo moderno. Esso combatte, pur nelle differenziazioni
degli schieramenti che si autodefiniscono "tradizionalisti", le
riforme liturgiche e istituzionali proclamandosi fedele alla liturgia di
San Pio V o dissentendo dalle moderne teologie. Senonché, a ben vedere,
"tradizionalismo cattolico" è un termine ambiguo, quasi che il
fatto d'essere cattolico sia una specificazione di una categoria generale
ed assoluta: il "Tradizionalismo". D'altro canto parlare di un
"cattolicesimo tradizionalista", dando al termine il valore di
"tradizionale", risulta altrettanto improprio perché si supporrebbe
la possibilità, parallela e antitetica, di un cattolicesimo fuori dalla
tradizione o, definendo "tradizionalismo" come "interpretazione
tradizionale" del cattolicesimo gli schieramenti tradizionalisti si
arrogherebbero la prerogativa di essere "il" cattolicesimo.
Neppure ha senso parlare di un "cattolicesimo
tradizionale", poiché non può definirsi un cattolicesimo secondo la
Tradizione in opposizione ad uno anti-tradizionale. In tal caso sarebbe
questione di un cattolicesimo opposto ad un anti- o ad un non-cattolicesimo
poiché, privato della legittimazione tradizionale, una via dello spirito
cessa semplicemente di essere tale.
Una tradizione, del resto, non può essere definita
solo in senso negativo, come opposizione ad un'anti-tradizione, ma richiede
di essere definita principalmente in senso positivo nei riguardi del messaggio
che essa tramanda e dal quale trae il motivo e la legittimazione della propria
esistenza.
Esiste, inoltre, un "tradizionalismo"
in senso lato nel quale si riconoscono appartenenti singoli, o gruppi, diversi
in quanto a impostazione e tendenze, ma accomunati da un pronunciato antagonismo
nei confronti del mondo moderno, delle sue strutture (religiose, sociali,
politiche) e della sua cultura (neo-illuminista, edonista, materialista)
in quanto se ne avvertono fortemente le limitazioni e le aberrazioni. È
comune alle varie tendenze del "tradizionalismo" (cultural-politico
e/o spiritualista) la tensione verso il recupero di un'identità "spirituale"
dai contorni in genere mal definiti, non-confessionale, caratterizzata dal
sincretismo in campo religioso e, spesso, da una componente marcatamente
anti-cristiana.
Il Cristianesimo, infatti, viene ritenuto responsabile
della crisi spirituale e culturale che ha condotto l'Occidente, per tappe
progressive, all'attuale condizione di svilimento e di rinuncia ai valori
ideali della sua cultura, o si ritiene il Cristianesimo connivente con chi
gestisce il potere culturale.
Contraddistingue tali schieramenti del tradizionalismo
l'enfasi data alla componente volontaristica e vitalistica che spesso sfocia
in un vero e proprio culto del "superuomo" o dell'eroe, culto
motivato dalla crisi d'identità ed inteso come contrapposizione e possibilità
di superamento del qualunquismo borghese.
Dal punto di vista politico si assiste ad un accentuato
disimpegno alimentato dalla sfiducia nelle strutture che gestiscono il potere
o giustificato in nome di un disinteresse del politico a favore del momento
"spirituale" o della componente individualistica.
Talvolta a tale disimpegno fa da controparte un
"impegno" (ideale o reale) a "destra" (idealmente, culturalmente
o politicamente intesa).
Non potendo in questa sede diffonderci sul panorama
del "tradizionalismo", non cattolico o anticattolico, limitiamoci
tuttavia a notare come anche questo termine sia improprio poiché se l'appartenenza
ad una religione qualifica gli appartenenti ad essa come esponenti di quella
tradizione (e non genericamente "tradizionalisti"). Quando, invece,
il termine "tradizionalismo" sia usato per dare un volto fittizio
ad un vuoto religioso e per esprimere un generico afflato verso la dimensione
religiosa, sottolineando la non-appartenenza alle vie religiose, il suo
uso risulta addirittura illegittimo proprio da un punto di vista "tradizionale"
in quanto, come vedremo, non c'è Tradizione - in senso spirituale - se non
come "tramandamento" d'una verità d'ordine metafisico (non puramente
culturale): incarnata in un sistema dottrinale; trasmessa e custodita da
una gerarchia spiritualmente qualificata; contemplante la possibilità di
accedere ad essa mediante i mezzi ed i carismi che definiscono una via come
"via spirituale" o "religiosa". Inoltre una "tradizione",
per esser tale, deve garantire una trasmissione qualificata e ininterrotta
nel tempo dalla fonte a chi ne usufruisce, e l'ininterrotta attuazione delle
operazioni liturgiche, rituali, "sacrificali”, senza le quali la trasmissione
diverrebbe un dato puramente culturale.
Ove tali requisiti manchino non v'è Tradizione
ma può esservi al massimo una tensione verso un archetipo tradizionale e
in mancanza di Tradizione non si vede come possa esservi "tradizionalismo”,
se con esso s'intende la difesa e la salvaguardia d'una tradizione. Un "tradizionalismo"
senza Tradizione denota un uso culturale del termine pur svelando oscure
pulsioni verso un'autentica trascendenza con motivazioni psichiche (emozionali,
velleitarie), pulsioni e motivazioni che d’altronde, di per sé, non sono
sufficienti a garantire l'inserimento in una via autenticamente tradizionale.
Il fatto, poi, che si sia abusato del termine "Tradizione"
e "tradizionale" e che si sia addirittura coniato un termine,
il "tradizionalismo”, che va ad accrescere il numero impressionante
degli -ismi di cui è ricca la cultura moderna, prova ancora una volta -
semmai ce ne fosse bisogno - l'infallibile verità di quella legge dello
spirito che vuole che ciò che nasce da Spirito sia spirito e ciò che nasce
da volere di carne (o della mente) sia puro aggregato fisico o psichico
e come tale soggetto alle leggi del divenire.
Ciò risulta evidente nel caso del termine in esame
che non sfugge all'usura, alla dissacrazione, alla confusione del linguaggio
e che risente di tutte le limitazioni dell'appartenenza alla sfera culturale,
sia pure d'una cultura sensibile alle istanze religiose. Occorre anche accennare
al fatto che in certi orientamenti del neospiritualismo (a sfondo "gnostico”)
il termine "tradizionalismo” viene usato ad indicare la presunta appartenenza
non a questa o quella tradizione spirituale, ma alla “Tradizione” unica,
anteriore alle varie tradizioni e origine di esse (definita variamente come
"Tradizione Primordiale“, o “esoterica”, o “iniziatica"). Che
una Tradizione primordiale o, più esattamente, una Rivelazione diretta,
origine di tutte le tradizioni, sia esistita ai primordi e sia stata comune
a tutta l'umanità vivente nello stato “edenico” (o “aureo") è un dato
che si evince chiaramente dalle Scritture e dai miti delle più diverse tradizioni.
Che il ritorno (o la riconquista) di uno stato di santità e di conoscenza
sia possibile a partire dalla condizione di offuscamento e di decadenza
che contraddistingue l'uomo dopo la caduta è dimostrato dall'esistenza stessa
delle vie religiose che sarebbero totalmente vanificate qualora non fosse
possibile il trascendimento dello stato di ignoranza e di disintegrazione
spirituale. Il raggiungimento dello stato unitivo con l'Assoluto è dichiaratamente
il fine ultimo di ogni Via Tradizionale che implica, pero, il percorrimento
regolare della Via fino al suo ultimo scopo, la ove la Via cessa e la tradizione
confluisce nella Rivelazione.
Dichiararsi appartenenti alla Tradizione nel senso
cui sopra accennavamo, se ben s'intende ciò che si afferma, equivale dichiarare
il raggiungimento dello stato unitivo con l'Assoluto, sigillo e prerogativa
della santità.
Si tratta dunque, anche in questo caso, di una
velleità culturale che reputa avvenuto ciò che è solo una possibilità di
sviluppo che richiede, per avverarsi, regolari condizioni di appartenenza
ad una Via legittima. Passando ad esaminare il campo contrario, quello della
cultura "laica" e progressista, il termine "tradizionalismo”
viene usato (spesso con ragione) riferito alle frange dell'oltranzismo religioso
e/o politico a denotarne la fondamentale tendenza al conservatorismo, anche
quando tale tendenza sia puramente nominale, ma viene pure usato (a torto)
per stigmatizzare la normale e legittima funzione "tradizionale” della
conservazione dell'essenza della dottrina immune da contaminazioni, distorsioni
e menomazioni. “Conservazione” e
“conservatorismo” sono due funzioni simili solo per l'assonanza grammaticale
dei termini ma ben diverse, sia per i ruoli rispettivamente svolti sia per
le motivazioni alle quali rispondono.
Il “conservatorismo” in campo religioso, infatti,
riguarda la preservazione filologicamente esatta della forma e denota una
fondamentale non-adattabilità alla dinamica dell'azione dello spirito, rivelando
un immobilismo che, se salvaguarda da pericolosi cedimenti a tentazioni
di secolarizzazione o di libera interpretazione e di progressismo, rischia
però di rendere inaccessibile la Sostanza stessa della forma tradizionale.
All'altro estremo, il "progressismo"
forza il contenuto della Tradizione all’interno di parametri puramente umani,
storicizzandolo e socializzandolo, rischiando con ciò non solo di travolgere
lettera e forma ma di intaccare pure la sostanza della Tradizione.
In questo caso la virtù non risiede classicamente
“nel mezzo” tra i due estremi ma al di sopra di essi e oltre il piano dialettico
che tra di essi inevitabilmente si crea. Essere nella Tradizione vuol dire
vivere in una partecipazione diretta e totale alla vita dello Spirito, che,
senza tradire il messaggio che dallo Spirito stesso è stato rivelato e dagli
uomini tramandato, indica a chi sappia ascoltarne la voce e sappia anche
comprendere in profondità le esigenze e il dramma del mondo contemporaneo,
i modi di azione consoni ai tempi.
Posto dunque, che da un punto di vista spirituale
(che è quello che qui ci interessa trattare) “Tradizione” non equivale ad
“abitudine acquisita", non è puramente “conservazione” e non è affatto
“conservatorismo", e posto che l'appartenenza ad essa non può mai essere
meramente culturale ma deve essere spirituale, presupponendo un carisma
e coinvolgendo il pensiero e l'azione, resta da chiarire che cosa esattamente
s'intenda per “Tradizione” da un punto di vista religioso, tentando di restituire
al termine il suo significato originario e “normale”.
“Tradizione” deriva dal latino traditio che ha i seguenti significati:
a)
L'atto
materiale della “consegna”, dunque anche nel senso di “resa” (Livio);
b)
“Consegna
mediante parole”, dunque “insegnamento”: traditio
praeceptorum è “l'esposizione verbale dei precetti” affinché vengano
appresi (Quintiliano 3,1,2 e 3);
c)
"Tradizione"
(Gellio).
Traditio
indica l'atto di tradere, da trans-dare, con il significato di consegnare
ed anche “trasmettere”, come un'eredità, una memoria, una notizia, un insegnamento
sia a parole che per scritto.
Mos
erat a maioribus... traditus: “era costume tramandato
dagli antichi”, dunque, “costume tradizionale” (Cornelio Nepote); consuetudo a maioribus tradita: “usanza
tradizionale"; patrio more...
traditum est: "è tramandato per costume avito"; memoriam posteris tradiderunt: “tramandarono
la memoria ai posteri" (Livio) servare traditum ab antiquis morem: “restare fedele a un costume tramandato
dagli avi" (Orazio).
Tradere
significa, dunque, anche “insegnare": tradere
virtutem hominibus: "insegnare agli uomini la virtù ,, (Cicerone).
La preposizione trans indica “al di la", “oltre", con evidente riferimento
sia ai limiti temporali che la memoria tramandata sorpassa e vince, sia
ai limiti dello spazio fisico (che terrebbero la memoria imprigionata se
questa non venisse trasmessa) sia ai limiti dell'esperienza soggettiva di
colui che, possedendo una conoscenza, la partecipa ad altri mediante la
trasmissione.
Ma trans-dare
indica anche la consegna trans-personale di un dato culturale (in senso
lato), che esiste anteriormente a colui che lo riceve e che questi apprende
per la prima volta da chi lo istruisce per poi, a sua volta, trasmetterlo.
Il trasmettere indica forzatamente un ricevere e un dare.
La trasmissione in senso etico-religioso riguarda,
come si e visto negli esempi citati, il mos maiorum che indica la “volontà divenuta norma di condotta presso
gli antenati”. Mos è anche "condotta”,
“comportamento etico”, “stile di vita”, e “volontà divenuta precetto, regola
di comportamento". Il mos maiorum,
che è oggetto di trasmissione, non riguarda soltanto l'universo etico e
giuridico ma anche - e soprattutto - l'universo religioso dal quale prende
vita e sul quale si fondano, nell'epoca arcaica, e l'etica e il diritto.
Mai come nel campo religioso Roma resta fedele, nelle istituzioni e nei
riti della religione tradizionale al mos
maiorum, a tal punto da conservare integralmente nei carmina
rituali le forme e le espressioni della lingua arcaica pur quando queste
risultavano ormai di difficile comprensione agli stessi sacerdoti.
Poiché, all'origine, il mos era l'insieme dei comportamenti etico-religiosi che abbracciavano
il campo del diritto pubblico e privato, le istituzioni familiari e sociali,
il diritto militare e, prima di tutto, lo svolgimento statale e privato
dei riti religiosi, è normale che la trasmissione del mos riguardasse proprio i principi e i
precetti sui quali il mos si fondava,
nonché il valore etico della pietas
verso gli dèi sulla quale si fondavano tutte le altre virtù del cittadino
romano. La traditio morum possedeva,
a Roma, valore normativo e rivestiva una funzione di primaria importanza
in quanto Roma riponeva la sua identità “romana" proprio nel mos maiorum.
Risalendo verso le origini, seguendo cioè a ritroso
la direzione temporale del trans-dare oltre i più lontani avi dei quali
si abbia ancora ricordo, si giunge al tempo mitico delle origini che è,
nel contempo, fonte e legittimazione della traditio
morum e dei mores stessi.
Si tratta infatti, del tempo in cui vissero gli eroi culturali fondatori
non solo dell'Urbe (Romolo), o del diritto religioso (Numa, ispirato da
un'entità non-umana) ma, ancor prima, i fondatori divini delle norme di
convivenza civile, dei costumi propriamente “umani”, rivelatori dei rapporti
che permettono l'ordinato equilibrio tra i due mondi: l'umano e il divino
(Giano, Saturno) o portatori in terra italica di un mos
e di una pietas antichissimi e
illustri (Enea).
Il significato di trans, l'”oltre", risalendo verso le origini esprime dunque il
passaggio dal mondo degli uomini al mondo degli dei, dal tempo della storia
vissuta al tempo sacro - o tempo religioso - che è fondamento della storia.
La Tradizione collega ogni momento della storia
con la sfera del Sacro, ed è essa stessa d'origine divina.
Roma, come qualunque altra civiltà “tradizionale"
che fonda su tradizioni religiose le norme della propria esistenza, contempla,
alle origini della propria tradizione un elemento non-umano o semidivino
(Egeria, Romolo, Enea).
Presso altre tradizioni, alle origini della tradizione
stessa sono, come primi rivelatori, esseri semidivini; eroi culturali; uno
degli dèi o dio stesso.
Se l'origine della tradizione - in quanto tradizione
sacra - è ritenuta dichiaratamente non-umana, come documenta lo sconfinato
materiale di studi storico-religiosi od etnologici, ecco dunque che il senso
del trans-dare si chiarisce ulteriormente nelle sue valenze spirituali più
profonde come l'atto di tramandare “attraverso ed oltre” i tempi, gli spazi
e le generazioni umane, un complesso di conoscenze sacre ricevute “dall'aldila",
dall'alto (trans-data, tradita)
nei tempi sacri delle origini e codificate dagli antenati come norme sacre
di comportamento in tutti i campi dell'esistenza umana. Il fatto, inoltre,
che tali conoscenze sacre appartengono, per la loro origine e la loro essenza,
al tempo sacro è immutabile delle origini implica la necessità di poter
effettuare il ricongiungimento con "quel tempo”, che, congiungendosi
alla storia e fecondando il tempo vissuto con la forza spirituale di cui
e pregna, opera - mediante il rito e il sacrificio - l'ordinamento sacro
dello spazio e del tempo profani.
Dietro l'etimo di “tradere” come "trans-dare"
si intravede, dunque, una dinamica di “trasmissione” svolgentesi secondo
due movimenti: uno “verticale”, dal dio all'uomo (dall'eroe culturale ai
primi uomini, ecc.); l'altro orizzontale, dall'uomo agli uomini.
Circa l'”oggetto" della trasmissione occorre
inoltre dire che questo non è formato solo da un bagaglio di conoscenze
intellettuali “sul sacro" ma è costituito innanzitutto da un'autorità
carismatica -- intesa nel senso del latino auctoritas,
come potere spirituale - che è data dal dio all'uomo e dall'uomo all'uomo
per opera del dio, autorità capace di realizzare quel sacrum facere che, per essere posto in atto, richiede una qualificazione
sacerdotale e a pontificale". Compito della tradizione è, infatti,
far da ponte tra il divino e l'umano affinché, tramite lo stesso ponte,
l'umano possa attingere il divino. Ciò postula, evidentemente, la certezza
che nell'uomo al quale la trasmissione è diretta vi sia la capacita connaturata
di trascendere i limiti propriamente “umani” e presuppone agente il senso
del divino come ricordo della sostanziale, latente, natura divina dell'uomo.
La trasmissione di un dato tradizionale introduce
inevitabilmente, nel tempo, alterazioni che sfigurano il contenuto della
trasmissione, sia perché l'essenza ne rimane offuscata o persa di vista
per la corruzione del ricordo, o per le aggiunte e le interpretazioni che
ne hanno distorto via via il significato, sia per il progressivo ottundimento
della capacità di intenderne il linguaggio simbolico. Quest'ultimo fattore
si deve, in genere, al sopravvento in campo filosofico di un criterio razionalistico
di conoscenza che si sostituisce alla visione religiosa del mondo. Tale
processo è chiarissimo nella Grecia dei tempi di Socrate quando gli antichi
miti, sottoposti alla critica del razionalismo, privati del loro contenuto
simbolico che, come tale, rimandava a verità spirituali perenni, passarono
da “narrazioni" e “discorsi” sacri a “favole” frutto della fantasia
dei poeti.
Altri fattori possono alterare l'integrità di una
tradizione come, ad esempio, i processi di deculturazione o di inculturazione
susseguenti una sconfitta militare, o favoriti da una decadenza interna
del sistema religioso per una sorta di “entropia culturale”, che non risparmia
neppure il dominio della religione, o causati da correnti culturali provenienti
dall'esterno che veicolano nuove conoscenze e teorie religiose, nuovi metodi
di approccio al divino provenienti da altri orizzonti culturali provocando,
allo stesso tempo, domande e risposte nuove a nuove esigenze. A questi due
ultimi fattori, alla decadenza interna e alla deculturazione e inculturazione
operata da altre culture si devono, ad esempio, l'instaurarsi in Grecia
dei culti misterici provenienti dal vicino Oriente e il lento processo di
acculturazione operato dalla filosofia e dalla cultura greca nella Roma
del secolo degli Scipioni.
Come conseguenza della decadenza interna di una
forma religiosa, e dei concomitanti processi di deculturazione ed acculturazione,
si verificano fenomeni di sclerosi delle forme tradizionali - divenute incapaci
di svolgere il loro ruolo nelle mutate condizioni culturali. Quando gli
apporti provenienti da altre tradizioni religiose vengono a contatto con
il nucleo della tradizione in decadenza si verificano fenomeni di sincretismo
che finiscono per desautorare e soffocare quanto resta della tradizione
originaria. Gli stessi apporti, quando giungono a confronto con una tradizione
nella piena forza della sua vitalità, vengono reinterpretati, purificati
dagli elementi con quella contrastanti ed entrano a far parte di essa in
una salda sintesi, che è fenomeno assai diverso dal sincretismo.
Questo riguarda, infatti, forme esteriori che vengono
aggregate più o meno liberamente in un coacervo di elementi spesso in contrasto
tra loro senza un centro di attrazione che li ordini. La sintesi contempla,
al contrario, la possibilità di assimilazione e di fusione da parte di un
centro spirituale vivente di elementi omologhi in quanto fondati sulle stesse
verità metafisiche che danno vita alla tradizione che li assimila.
Si assiste sovente, nella storia delle religioni,
al passaggio di elementi culturali (simbolici, liturgici, sacrali) da una
tradizione precedente ad un'altra. Il fenomeno si spiega, dal punto di vista
antropologico, in base ai processi di osmosi o di deriva culturale (culturat drift) a seconda che tali elementi
siano desunti dallo stesso sostrato culturale d'appartenenza o dall'esterno.
Due esempi bastino: il dies natalis solis invicti, sacro a Mithra, al quale si sovrappose
il Natale cristiano, e il Ciclo medioevale del Graal che si fonda su elementi
della tradizione Celtico-germanica rielaborati in una visione cristiana
e cavalleresca. Nel primo caso, notiamo che le due feste - quella mithraica
e quella cristiana - coincidono entrambe con un momento particolarmente
significativo dell'anno dal punto di vista simbolico e religioso: il solstizio
d'inverno. D'altronde nello stesso giorno, da circa cinque secoli, prima
del Cristo, era stata fissata dalla tradizione buddhista la nascita del
principe Gautamo Siddharta degli Shakyamuni, che sarebbe divenuto il Buddha.
In questo caso è evidente che le tre “nascite divine”, in tre diverse tradizioni,
a prescindere dalla realtà storica della data, “dovevano” avvenire in “quel”
giorno in quanto era il più adatto a significare il ritorno della luce e
della vita, il rinnovamento, ecc. presso culture particolarmente sensibili
a tali assonanze simboliche.
Nel secondo caso, il Ciclo del Graal, gli elementi
significativi sono certamente desunti dalla tradizione celtica, ma molti
di essi (la Coppa, la Lancia, la Terra Desolata, le Prove che la Cerca comporta,
il ruolo della Regalità sacra, la mitica Isola delle origini, ed altri)
sono pure presenti in altre tradizioni ed, inoltre, gli stessi elementi
si ordinano e prendono vita intorno ad un Cuore spiritualmente vivente,
che e quello della tradizione cristiana (imperiale) del secolo tredicesimo.
Spiegare la ripresa degli elementi sacrali dalle
tradizioni precedenti usando il metodo antropologico ha una piena giustificazione
in sede di studi antropologici e storico-religiosi ma assume un significato
assolutamente secondario da un punto di vista essenzialmente “religioso”
da cui ha un senso chiedersi non solo “come" e “quando" una tradizione
ha assunto tali elementi ma anche e soprattutto “perché” li ha assunti.
Ciò equivale a interrogarsi sul senso profondo (metafisico) di certi simboli
che, per la loro portata e per le verità spirituali che adombrano, non possono
essere assolutamente appannaggio di una o dell'altra tradizione ma appartengono
alla Sapienza perenne che dall'Alto e dal Profondo vivifica.
Sarebbe di sommo interesse a tale proposito, analizzare
i simboli coi quali Dio si rivolge agli uomini nelle Scritture, simboli
che fanno parte della Parola della Rivelazione. Ma su ciò pensiamo di tornare
in un prossimo studio sul simbolo.
Si è accennato prima ai processi di alterazione
e decadenza delle forme tradizionali. Se ci si interroga sulle cause di
tale decadere si nota che le spinte dissolutrici provenienti dall'esterno
hanno un ruolo del tutto secondario: infatti tali spinte hanno buon gioco
nel determinare il declino di una tradizione solo quando questa versi già
in una crisi profonda e stia sul punto di perdere i valori ideali (spirituali)
di riferimento. Il motivo di tali crisi è da ricercarsi sempre all'interno
della tradizione stessa in un allontanamento dei portatori di essa dal centro
spirituale vivente, dal “cuore” della tradizione. Quando la vita spirituale
non giunge più dal “cuore” a dar vita alle forme della tradizione esse si
svuotano di significato, questa “si ammala” e perde le armi per combattere
i processi di dissoluzione che la minacciano dall'interno e dall'esterno
- a meno che non si verifichi un ritorno al “centro”.
Affinché la trasmissione del nucleo spirituale
della tradizione, della dottrina, e dei veicoli sacri d'approccio al centro
spirituale (i riti) avvenga in modo corretto, occorre che siano garantite
due funzioni fondamentali: la prima è la conservazione del dato tradizionale
(il contenuto metafisico della dottrina, il depositum)
nella sua espressione più pura e originaria e al riparo dalle interpretazioni
personali. La conservazione e il tramandamento sono garantiti dall'insegnamento
autorevole.
La funzione della conservazione è garantita, nelle
società “primitive”, dal consesso degli anziani (anche il senatus romano era un consesso d'anziani)
o, presso altre società, da collegi sacerdotali o da vere e proprie “chiese”
che hanno il compito di conservare il nucleo tradizionale veicolato dai
miti e dalle Scritture, di tramandarlo, di garantire il corretto svolgimento
delle azioni religiose per eccellenza (preghiere, riti, iniziazioni) che
debbono assicurare non solo il corretto rapporto tra uomo e sacro (tra uomo
e divinità) ma altresì permettere l'inserimento del neofita (= “nuova pianta”)
nella linfa della tradizione mediante i riti di iniziazione che operano
tale inserimento e “creano” l'appartenenza alla tradizione.
La seconda funzione è, appunto, quella propriamente
rituale o “sacrificale” nel senso latino del sacrum facere. Mediante
questa funzione viene operato il contatto diretto con la fonte stessa della
tradizione, contatto che assicura la presenza dello spirito in tutto il
corpus tradizionale. Senza tale presenza questo sarebbe un corpo privo di
vita, soggetto ad un inarrestabile processo di corruzione.
Nelle società illetterate la “tradizione” vera
e propria avviene per trasmissione orale. Tutte le grandi tradizioni hanno
conosciuto una trasmissione orale sia nei tempi in cui non v'era scrittura
(o non la si usava per fini religiosi), sia nei riguardi di certi elementi
sapienziali che non si considerava opportuno affidare alle lettere.
Il passaggio dalla “tradizione orale” alla scrittura
se, da un lato, salvaguarda dalla labilità della memoria e dagli apporti
personali, dall'altro fissa inesorabilmente lo spirito della dottrina in
un testo letterario che richiede di essere interpretato non solo “nella”
lettera ma anche “oltre" la lettera nella comprensione dei simboli
che velano le realtà profonde dell'insegnamento tradizionale. Tale interpretazione,
per non essere fuorviante o illegittima, richiede d'essere effettuata da
un'autorità in grado di garantirne la legittimità. In entrambi i casi, tuttavia,
che si tratti cioè di tradizioni scritte o tramandate oralmente la trasmissione
originaria - secondo il movimento verticale - dalla fonte al primo recettore
(profeta; ispirato) avviene comunque sempre tramite la Parola.
Fedeli all'idea che non può parlarsi di una Via
se non dall'interno di essa, passiamo ora a delineare per sommi capi il
concetto di “tradizione" secondo la dottrina cristiana. Là dove la
brevità dello spazio a nostra disposizione non ci permette di trascrivere
per esteso i testi scritturali ci limitiamo a darne i riferimenti in modo
che il lettore interessato all'argomento possa compiere un'utile opera di
approfondimento. La Parola di Dio dichiarata agli uomini nella rivelazione
e la Fonte e, allo stesso tempo, l'oggetto della tradizione. La Rivelazione
è trasmissione della verità da Dio agli uomini, dunque in senso stretto
“Tradizione”, che viene rivelata per un atto gratuito della divinità.
Unica e l'Origine dell'unica Rivelazione: il Dio
unico poiché «dalla sua pienezza noi
tutti abbiamo ricevuto» (Gv 1,16). Ma in quanto Dio e Uno e Trino tre
sono le persone divine che presiedono alla rivelazione: il Padre è l'Origine
della Parola, è la Parola non rivelata. Il Figlio, nella sua Parola, rivela
il pensiero del Padre altrimenti inconoscibile: «...tutte le cose che mi hai dato vengono da te, perché le parole che
hai dato a me io le ho date a loro» (Gv 17,7). «In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio, e il Verbo era Dio»
(Gv 1,1), «...e il Verbo si fece carne,
e venne ad abitare in mezzo a noi» (Gv 1,14). Lo Spirito Santo, dopo
l'ascesa al cielo del Signore, porta a compimento la Rivelazione: «Il Consolatore, lo Spirito Santo che il Padre
manderà nel mio nome, vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che
io vi ho detto» (Gv 14,26; 16,13).
Lo Spirito da’ gloria a Cristo (Gv 15,26- 16,14)
come il Cristo da’ gloria al Padre (Gv 17,4) e come il Padre glorifica il
figlio (Mt 3,17; Gv 8,54; Gv 17,5) ed è glorificato nel Figlio (Gv 14,13).
La Rivelazione ha inizio nell'Eden prima della
caduta, in modo diretto, dal Padre all'uomo, suo figlio.
La Tradizione è necessaria e normale alla condizione
umana susseguente la caduta dal momento che l'offuscarsi delle facoltà spirituali
rende possibile ad ogni momento il travisamento delle verità da Dio comunicate
all'uomo.
La Tradizione tramanda intatto il ricordo dell'annuncio
divino e, contemporaneamente, tramanda la conoscenza e le forme dei mezzi
adatti a rendere possibile il ritorno alla Fonte. In una parola la Tradizione
rende possibile la Religione come “ricollegamento” dell'umano al divino.
Dopo la caduta Dio non abbandona gli uomini e parla
loro per mezzo di uomini ispirati direttamente dallo Spirito: i profeti.
«Il Signore mi disse: "prenditi
una grande tavoletta e scrivici...”» (Is 8,1).
«Il Signore
rispose e mi disse: "scrivi..."» (Ab 2,2).
«Lo Spirito
Santo con una forza soprannaturale eccitò e mosse gli autori ispirati a
scrivere, li assistette nello scrivere in tal modo che essi tutto quello,
e solo quello che Egli voleva, rettamente concepissero col pensiero, fedelmente
volessero mettere per iscritto ed acconciamente esprimessero con infallibile
verità» (Leone XIII, Providentissimus
Deus).
«Non da volontà
umana fu recata mai una profezia, ma mossi da Spirito Santo parlarono quegli
uomini da parte di Dio» (2 Pt 1,20-21).
La Legge prima di essere consegnata alla scrittura
fu trasmessa con la parola e conservata con la memoria: la maggior parte
dei libri biblici prima di essere messi per iscritto erano tramandati oralmente
(cfr. Dt 4,9; 11,19; Sal 44,2; 78,3 s; Gb 8,8; 12,12; Sir 8,9-12).
Contemporaneamente anche fuori di Israele Dio non
abbandonava gli uomini e non cessava di ispirare loro, in diversi modi,
alcune eredità fondamentali dello spirito attuando quella che alcuni padri
chiamarono propaideia Christou1.
Ma nell'Antico Testamento Dio dette l'annuncio più completo e preparò il
cammino di Redenzione che sarebbe stato portato a compimento dal Figlio.
Con la venuta del figlio la Parola di Dio si fa
carne e rivela agli uomini il pensiero del Padre proclamando «cose nascoste fin dalla fondazione del mondo»
(Mt 13,13; Sal 78,2). «Io sono l'Alfa
e l'Omega... Colui che e (o on), che era e che viene, l'Onnipotente (o pantokrator)»
(Ap 1,8). L'Alfa e il Cristo nel Padre, sorgente della Rivelazione, prima
di tutti i tempi. E’ il Verbo di Vita che risplende nel fiat lux: «...tutto
è stato fatto per mezzo di Lui, e senza di Lui nulla è stato fatto di tutto
ciò che esiste» (Gv 1,3). L'Omega è il Cristo inviato dal Padre per
renderGli testimonianza e portare a compimento la Rivelazione e la Redenzione.
Alfa ed Omega sono contenute nella pienezza dell'Essere (o
on) come possibilità del piano di redenzione. Il compimento e perfezionamento
che non contraddice quanto prima era stato rivelato nella Legge __i profeti,
né lo potrebbe, essendo unica la Fonte della rivelazione: pensate che io
sia venuto ad abolire la Legge o i profeti: «Non
sono venuto per abolire, ma per dare compimento (plerdsai: "dare pienezza")» (Mt 5,17). Ma pur senza alterare
la sostanza della Rivelazione il Cristo dovette implacabilmente condannare
le norme umane erette a tradizione nella Tradizione in quanto «...dottrine che sono precetti di uomini» (cfr.
Mt 15, 1-9) come quando gli scribi rimproverarono i discepoli di Gesù di
trasgredire la tradizione degli antichi per non aver compiuto le abluzioni
previste prima del pasto. In quell'occasione il Cristo sottolineò a chiare
parole il fatto che esiste una tradizione puramente umana che può sovrapporsi
ai comandamenti di Dio e indurre a trasgredir «perché
voi trasgredite il comandamento di Dio in nome della vostra tradizione?».
Gesù a più riprese antepone la purezza interiore a quella puramente esteriore
prescritta dalla tradizione (cfr. ad es. Mt 12,8; 15,10s; Mc 2,27; At 10,9-16.
28; Rm 14,14s).
Il Cristo è «sacerdote
in eterno secondo l'ordine di Melkitsedeq» (Sal. 110,4; Eb 7; 8; 9;
10) abolisce l'antico sacerdozio levitico «a
causa della sua debolezza e inutilità» (Eb 7,18) e inaugura «Un sacerdozio che non tramonta. Perciò può salvare perfettamente quelli
che per mezzo di lui si accostano a Dio, essendo egli sempre vivo per intercedere
a loro favore» (Eb 7, 24-25). Abolisce gli antichi sacrifici e pone
se stesso come Sacerdote e Vittima «una
volta per tutte» (Eb 7,27) «nella
pienezza dei tempi» (Mc 1,15; Gal 4,4). Dio stringe con gli uomini una
«alleanza nuova» (Ger 31, 31; Eb 7,13) in
virtù della quale Dio stesso pone le sue leggi nella mente e nel cuore degli
uomini (Ger 31) attuando la pienezza della Rivelazione.
Affinché dopo la sua missione terrena, l'opera
sua fosse proseguita Gesù istituisce gli Apostoli come primi custodi e portatori
dell'Annuncio inaugurando l'era della Tradizione apostolica. Nel far ciò
agisce secondo un criterio di elezione: «non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi » conferendo loro un
carisma specifico «...e vi ho costituiti
perché andiate» (Gv 15,16).
«Chiamati
a sé i dodici discepoli diede loro il potere di scacciare gli spiriti immondi,
di guarire ogni sorta di malattie e di infermità» (Mt 10,1; Lc 6,13).
Agli apostoli viene concesso il potere di parlare
secondo lo Spirito: «...non siete
infatti voi a parlare, ma è lo spirito del Padre vostro che parla in voi»
(Mt 10,20; Cfr Mc 13,11; Lc 12,12). Il Cristo trasmette ai suoi apostoli,
e non solo ai dodici ma alla Sua Chiesa, il potere di tramandare il Suo
insegnamento. La Tradizione è propriamente un'autotrasmissione dello Spirito
per mezzo degli uomini: «andate...
e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole... insegnando loro ad osservare
tutto ciò che vi ho comandato. Ecco, io sono con voi tutti i giorni... ».
La trasmissione dello Spirito non può essere fatta
in nessun modo dall'uomo se non in quanto questi, concedendo la sua mente
e il suo cuore allo Spirito ne venga talmente trasformato da non essere
più lui a parlare ma lo Spirito per bocca sua. ed è lo Spirito che concede
all'apostolo il carisma profetico e sacerdotale.
S. Paolo (Ef 4,11-13) afferma: «Lui che ha stabilito alcuni come apostoli,
altri come profeti, altri come evangelisti, altri come pastori e maestri».
Occorre essere «inviati» per annunciare
(Rm 10,15). Gesù distingue quelli che vengono «nel proprio nome» da sé stesso che viene nel nome del Padre (Gv 5,43).
La potenza della Parola - che e la potenza dello Spirito che la rivelò -
opera, attraverso l'annuncio, nello spirito dell'uditore e provoca in lui
la fede, questa suscita in lui la devozione e l'amore (Rm 10,14).
«La fede
dipende dalla predicazione (letteralmente: "dall'aver ascoltato")
e la predicazione, (letteralmente "l'ascolto",
akoe) a sua volta si attua per
(dia) la parola di Cristo» (Rm
10,17).
Senza una connessione vitale con la Fonte della
rivelazione è priva di una legittimazione dall'alto, nessuna trasmissione
orizzontale sarebbe infatti possibile. Proclamarsi seguaci di una Via unicamente
perché si sono studiate (anche se in modo approfondito) le tematiche tradizionali
senza aver posto in atto un'adesione totale alla Tradizione, equivale a
conoscere dettagliatamente i sistemi di coltivazione della vite e le operazioni
necessarie ad ottenere il vino senza possedere il vino stesso o la materia
prima per produrlo. Il Cristo è infatti la vite, l'uomo il tralcio. La vite
ha la linfa: la Parola che nutre e la Grazia che da vita. Il tralcio è veicolo
della linfa vitale ed esiste in funzione del frutto che da lui nascerà.
«Io sono
la vera vite e il Padre mio è il vignaiolo. Ogni tralcio che in me non porta
frutto, lo toglie e ogni tralcio che porta frutto lo pota perché porti più
frutto» (Gv 15, 1-3).
Nel frutto la linfa trova compimento manifestandosi
nella dolcezza dell'uva e nella potenza del vino: il mistero che inebria.
E il vino nasce dal sacrificio del frutto e dalla comunione dei frutti sacrificati,
come il pane dalla frantumazione della spiga.
Paolo, rivolgendosi ai Tessalonicesi, dice: « ...avendo ricevuto da noi la parola divina
della predicazione, l'avete ascoltata non quale parola di uomini (logon
anthropon) ma come è veramente, quale
parola di Dio (logon Theou) » (1 Tes 2,13). Pur essendo stata tramandata
per iscritto tutta la Parola nella sua essenza, tuttavia le parole pronunciate
dal Cristo non furono consegnate tutte agli scritti dagli Evangelisti e
dagli Apostoli che, pur avendole udite dalla bocca del Redentore parte ne
tramandarono per iscritto, parte oralmente: «ci sono molte altre cose che ha fatte Gesù, le quali, se fossero scritte
ad una ad una non so se il mondo stesso potrebbe contenere i libri che si
dovrebbero scrivere» (Gv 21,25). «Avrei
votuto scriven~i molte altre cose ma non ho voluto farlo per mezzo della
carta e dell'inchiostro... » (2 Gv 12; cfr. 3 Gv 13). E Paolo dice ai
Tessalonicesi: «state saldi e mantenete
le tradizioni (tas paradoseis) che
avete apprese cosi dalle nostre parole cosi come dalla nostra lettera».
E’ esistita, dunque, una tradizione orale ed una
scritta pur trattandosi della medesima Tradizione in due aspetti complementari
e non di due tradizioni opposte e irriducibili fra loro. E non potrebbe
che essere cosi poiché nell'unica Fonte della Rivelazione non può esservi
contraddizione. Se si riscontrano contraddizioni nella dottrina queste sono
imputabili alle interpretazioni o alle aggiunte degli uomini.
Il Cristo spiegava in privato (kat'idian) ai suoi Discepoli il significato
delle parabole (Mc 4,34) perché ad essi era «dato di conoscere i misteri del regno dei Cieli», mentre agli altri
non era dato (Mt 13,11) ma allo stesso tempo ingiungeva loro di diffondere
completamente il suo insegnamento: «...non
v'è nulla di nascosto che non debba essere svelato, e di segreto che non
debba essere manifestato. Quello che io vi dico nelle tenebre ditelo nella
luce, e quello che ascoltate all'orecchio predicatelo sui tetti» (Mt
10,26-27). L'insegnamento che il Cristo impartì ai soli discepoli costituiva
il nucleo sapienziale, la verità spirituale, presentata attraverso le allegorie
delle parabole ma non le contraddiceva, cosi come queste non contraddicevano
ma annunciavano in modo comprensibile ai più quel “linguaggio duro” che
altrimenti non sarebbe stato compreso. Gli Apostoli trasmisero l'intera
Dottrina, cosi come era stata insegnata loro dal Maestro usando principalmente
la parola, cosi come il Maestro aveva fatto e alla parola affiancarono,
quando lo reputarono opportuno, la lettera. Tuttavia la lettera contiene
intero senza contraddirlo l'insegnamento orale e dagli scritti degli evangelisti
e degli apostoli è desumibile in essenza l'intera Dottrina cristiana così
come fu rivelata dal Salvatore. A sua volta l'insegnamento orale non poteva
contraddire la lettera per il principio di non-contraddizione che è in Dio.
Attraverso l'insegnamento apostolico infatti, il Cristo stesso insegna con
l'assistenza dello Spirito Santo che non cesserà di assistere e proteggere
la Chiesa fino alla parusia del Figlio garantendo cosi l'integrità
della Dottrina - e solo in ciò che concerne la Dottrina - nonostante tutti
i cedimenti degli uomini che compongono la Chiesa, in quanto se l'uomo può
tradire Dio, Dio non tradisce le sue creature.
Fondandosi sul fatto che alcuni insegnamenti sarebbero
stati tramandati oralmente dagli apostoli, una falsa gnosi “cristiana” ha
ipotizzato fin dai primi secoli una trasmissione “esoterica” con pratiche
e rituali propri, a latere e al
di fuori della Chiesa di Pietro, che sarebbe depositaria della sola lettera
e delle pratiche devozionali. Esisterebbe dunque, in certi orientamenti
del neospiritualismo, una "Chiesa nella Chiesa” o una “Tradizione nella
Tradizione” da contrapporre con disprezzo al cristianesimo sfaldato ed ibrido
della “Chiesa ufficiale”. Esisterebbe, secondo tali orientamenti che si
rifanno in larga parte al pensiero teosofico, un “esoterismo cristiano”
che si rifarebbe a insegnamenti e pratiche tramandate esclusivamente da
bocca a orecchio dal Maestro fino ad oggi. Tali insegnamenti e pratiche
tendono a sostituirsi agli insegnamenti "ufficiali” ed alle pratiche
sacramentali in quanti si presumono dotati di differente qualità ed efficacia
spirituale. Non intendiamo negare la possibilità di un esoterismo cristiano
inteso come "compimento” della Via del Cristo e come possibilità di
fruizione profonda della verità e della Vita che sono in Cristo Gesù; ciò
che recisamente neghiamo è la distorsione operata dal neo-spiritualismo
ai danni del significato del termine. Neghiamo cioè che un compimento -
inteso come perfezionamento - sia possibile al di fuori del Corpo Mistico
di Cristo al quale, e solo al quale, è stata garantita l'assistenza dello
Spirito. Neghiamo altresì che un insegnamento "cristiano” possa trovarsi
al di fuori del Corpo Mistico di Cristo, cioè fuori dalla Sua Chiesa e,
dunque, dall'ortodossia della Tradizione che riguarda sia la Dottrina sia
le pratiche rituali e di preghiera. Se si usa il termine "cristiano"
come viene usato da certi orientamenti gnostici del neo-spiritualismo, occorre
intenderci innanzitutto sul significato del termine stesso a dimostrare
l'improprietà del suo uso. "Cristiano” esprime infatti l'appartenenza
e la partecipazione alla Vita del Cristo e, dunque, nel caso delle vie di
santificazione sono legittimamente “cristiane” le vie fondate integralmente
sulla Dottrina proclamata dal Cristo e tramandata dalla tradizione apostolica
della quale è depositaria la Chiesa. Tali vie indicano come mezzi di santificazione
i mezzi proclamati tali dal Cristo pur con propri metodi o con propri approfondimenti
di certi aspetti teologici, liturgici, sapienziali e devozionali e con l'enfasi
data alla coltivazione di particolari virtù. Maestri o vie che non posseggono
questi due requisiti non sono cristiani.
Solamente seguendo compiutamente la Via mostrata
dal Maestro e fondata sulla sua autorità, sulla quale si poggia il Magistero
Apostolico, potrà giungersi alla verità che e il fine supremo della Conoscenza
di Dio nell'amore del suo Cristo. Ma tale verità, che corrisponde al Cuore
di Gesù sul quale Giovanni poggiava il capo a udirne il pulsante mistero,
è posta, come il cuore, al centro del Corpo Mistico, non al di fuori di
esso perché al di fuori di Cristo - e ciò significa contro il Cristo - non
v'è che tenebra e assenza di Dio. Quando Gesù dice che solo ai suoi discepoli
e dato «conoscere il mistero del Regno» si riferisce
alla conoscenza dell'aspetto interno della Dottrina, non ad un'altra dottrina,
e quando afferma a Pietro che 1'interroga che il discepolo prediletto rimarrà
fino alla sua venuta (Gv 21,22; cfr. Mt 16,28) intende garantire la possibilità
di accesso alla comprensione del suo Cuore a quanti, chiamati a ciò come
lo fu Giovanni, e fedeli al Maestro come Giovanni lo è stato, saranno suoi
discepoli prediletti. Questi giungeranno nella barca dove e insieme Pietro
e Giovanni (Gv 21), alla sponda del lago dove Cristo li attende per dar
loro il mistico cibo del pane e del pesce.
Tornando all'argomento della necessita di conservare
integro il deposito tradizionale, Pietro esorta a non sottoporre le Scritture
a interpretazioni personali in quanto, cosi facendo, la ragione dell'uomo
si sovrapporrebbe alla ragione di Dio, la parola alla Parola poiché i profeti
furono mossi dallo Spirito Santo (hypò
pnéumatos hagiou feròmenoi) e «nessun
uomo ha mai profetizzato per volontà sua» (2 Pt 1, 20-21). Mirabilmente
Pietro illustra la funzione della Parola consegnata alla Scrittura per mezzo
dell'opera dei profeti alla quale occorre guardare come «lampada che splende in luogo oscuro, finche non spunti il giorno e non
si levi nei cuori l'aurora mattutina» (2 Pt 1,19).
L'”aurora" metaforica cui allude l'apostolo
esprime il sorgere della conoscenza di Dio in Cristo, conoscenza che non
abolisce l'autorità delle Scritture. Essa avviene per “visione diretta”
- al di là della lettera scritta - in quanto si è raggiunta la Fonte dalla
quale promana, in tutti i tempi, l'ispirazione che crea profeti o, meglio,
ci si è disposti a che l'acqua della Grazia e della Conoscenza che dalla
Fonte promana, attuando la catarsi salvifica permetta alla Vita di rifulgere
in tutta la sua pienezza. L'Apostolo indica chiaramente che non si tratta
di conoscenza mentale in quanto precisa che e il "cuore” secondo le
valenze che tradizionalmente questo simbolo possiede, la sede della conoscenza
delle Scritture, conoscenza dapprima caliginosa, in seguito trasparente
e radiosa come cielo al levarsi del sole.
La "lampada che splende" è anch'essa
portatrice di luce, di una luce certo meno intensa di quella del sole, ma
pure con sostanziale ad essa ed adatta alla capacita di chi la vede: luce
da Luce.
Nel cuore l'amore dell'uomo si incontra con l'amore
divino per l'uomo: il raggio di sole trafigge e feconda la terra; il braccio
verticale della mistica croce si incontra con il braccio orizzontale; la
verticalità dell'albero della vita si espande e fruttifica nell'orizzontalità
dei rami. Ecco, dunque, chiarirsi ulteriormente il senso e la funzione del
trans-dare come l'atto di “consegnare”
una luminosa certezza che viene dal di là (trans) della natura umana ma che è entrata
a far parte integrante dell'uomo poiché non potrebbe essere dato ciò che
non è posseduto. Contemporaneamente il "dare” pur essendo opera della
persona umana deve avvenire come atto d'amore e di conoscenza che promana
dal centro divino della natura umana posto oltre (trans) le limitazioni dell'umana natura, dell'umano pensiero e delle
possibilità dell'umana parola e che ordina la creatura portatrice della
Parola, Sacerdote dell'Altissimo e alter
Christus.
La metafora del fuoco e della lampada (già usata
più volte dal Maestro) è adatta, meglio di qualunque discorso, ad esprimere
la dinamica della trasmissione tradizionale. Affinché il fuoco splenda occorre
che vi sia un sacrificio ed una trans-mutazione: il sacrificio della materia
sottoposto all'azione della fiamma e la contemporanea trasmutazione della
sua natura in luce e calore. Occorre sia la disponibilità interiore della
materia stessa sia la presenza del fuoco trasformatore. Questo agirà simpateticamente
sulle possibilità interiori della materia e tale azione sarà possibile in
quanto la materia racchiude già nelle sue viscere la potenza dormiente del
fuoco. Occorre che l'uomo, che possiede in sé l'immagine di Dio ma ne è
inconsapevole, venga trasformato dall'Amore e dalla Luce. Dio, che è amore
e luce, suscitando in lui la fiamma, lo renderà portatore del Suo fuoco.
Questo sgorgherà dalla combustione dell'umana natura a contatto con la natura
divina che è nell'uomo, ridesta in Dio con la vivente consapevolezza della
consustanzialità delle due nature: quella della creatura e quella del Creatore,
del fuoco e del Fuoco, della fiammella del lucignolo e del Sole dei soli.
Non si è portatori della Tradizione tenendo unicamente tra le mani la lampada,
ma essendo la lampada stessa: solo in tal modo la potenza della Luce potrà
raggiungere altre creature dormienti nella tenebra e destarle nel suo abbraccio.
Tutti coloro che, chiamati da Dio, testimoniano la Sua Parola sono suoi
apostoli: a loro è richiesta la testimonianza che è sacrificio nel senso
del latino sacrum facere e martirio
come testimonianza in senso greco, e come disposizione a perdere la propria
vita per raggiungere la Vita. E’ quanto richiesto a chi voglia fare opera
autenticamente "tradizionale”: «sarete
odiati da tutti a causa del mio nome». E la testimonianza tradizionale
non da’ solo saggezza a chi l'ascolta ma anche a chi la attua: «beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno
e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. Rallegratevi
ed esultate, perché grande e la vostra ricompensa nei cieli» (Mt 5,
11-12).
«Le cose
che hai udito da me... trasmettile a persone fedeli, idonee ad ammaestrare,
a loro volta anche altri»
(2 Tm 2,2). Come il fuoco deve essere custodito per non estinguersi, così
anche la Parola deve essere custodita nella sua divinità per non umanizzarsi
e perdere così il suo potere. Ma anche questa vigile custodia - che è compito
essenziale per la conservazione dell'integrità del messaggio tradizionale
- non può essere unicamente opera umana proprio perché non umana è la natura
del messaggio e non umana è la natura delle forze che attentano alla sua
corruzione. Per questo motivo l'Apostolo esorta a custodire il «buon
deposito» con l'aiuto dello Spirito Santo che abita in noi (2 Tm 1,14).
Altrove Paolo indica gli errori evitando i quali
potrà essere consentita una fedele conservazione dell'integrità della Dottrina:
le “chiacchiere profane" (tas
bebelous kenofonias: oi bebeloi nelle tradizioni misteriche della Grecia
classica erano i "profani" ai quali non dovevano essere trasmesse
le verità iniziatiche e che dovevano essere tenuti fuori dalle porte) e
le “obiezioni della scienza” che quando pretende di indagare le cose divine
usurpa il proprio nome in quanto Scienza e solo quella che Dio comunica
ai suoi fedeli ( 1 Tm 6,20) .
Vi è un solo Vangelo (Gal 1, 6-8; 2 Cor 11,4) ed
è questo che tutti gli apostoli predicano (1 Cor 15,11). Questo Vangelo
è una buona novella che deve essere annunciata e che contiene la rivelazione
di Gesù, figlio di Dio (Rm 1,1- 4).
Paolo proclama l'immutabilità del "deposito
tradizionale” in quanto fondato sull'eternità della Parola: «orbene, anche se noi stessi o un angelo del
cielo vi predicasse un vangelo diverso da quello che vi abbiamo predicato,
sia anatema» (Gal 1,8).
Dopo aver annunziato la vera Dottrina, Paolo prevede
la decadenza dei tempi ultimi rifacendosi all'insegnamento del Maestro che
già aveva pronunciato simili profezie (cfr. Mt 24, 4 - 31). Paolo descrive
il prevalere dell'insana curiosità del prurito spiritualista sull'autentica
ansia di conoscenza che viene dallo spirito: «verrà giorno in cui non si sopporterà più la sana dottrina, ma, per il
prurito di udire qualcosa, gli uomini si circonderanno di maestri secondo
le proprie voglie rifiutando di dare ascolto alla verità per volgersi alle
favole». Quando ciò avverrà sarà segno caratteristico degli "ultimi
tempi" sui quali l'Apostolo aveva profetizzato: «devi
anche sapere che negli ultimi tempi gli uomini saranno egoisti, amanti del
denaro, vanitosi, orgogliosi, bestemmiatori, ribelli ai genitori, ingrati,
senza religione e senza amore, sleali, maldicenti, intemperanti, intrattabili,
nemici del bene, traditori, sfrontati, accecati dall'orgoglio, attaccati
ai piaceri più che a Dio, con la parvenza della pietà mentre ne hanno rinnegata
la forza interiore» (2 Tm 3, 1-5). Circa i falsi maestri e la loro sterile
sapienza e scritto: «nubi senz'acqua,
portate via dai venti, alberi autunnali senza frutti, morti due volte, sradicati;
onde furiose del mare... stelle vaganti, alle quali è riservata l'oscurità
delle tenebre... » (Gd 12-13).
Proprio questi ultimi tempi - o questi tempi ultimi
- precedenti il ritorno del Figlio saranno caratterizzati, tra l'altro,
secondo la parola dell'Apostolo (2 Tm 3, 6-7) dal proliferare di una folla
di eunuchi dello spirito che, persa la potenza della fede e la forza dell'amore
per la verità saranno simili a «donnicciole
cariche di peccati, mosse da passioni d'ogni genere, che stanno sempre lì
ad imparare, senza riuscire mai a giungere alla conoscenza della verità».
Costoro saranno presi al laccio dei falsi maestri, mossi come loro da passioni
d'ogni genere, «uomini dalla mente
corrotta» dei quali pero, la stoltezza sarà manifestata (2 Tm 3, 8-9).
E non saranno più i maestri che sceglieranno i discepoli, ma i discepoli
si sceglieranno i maestri «secondo
le proprie voglie».
La più alta maturità dello spirito o, se si vuole,
la più alta "virilità" in senso simbolico, è contrassegnata, al
contrario, dalla capacita di arrendersi all'azione dello Spirito senza opporre
resistenza, secondo le parole dell'umile donna “più che creatura”: «sia fatto di me secondo la tua parola»
(Lc 1,38).
Questa "resa" (traditio, secondo uno dei sensi della parola latina) è condizione
indispensabile affinché possa avvenire l'innestarsi della Verità che viene
dall'alto, da "oltre" l'uomo, e che è il cuore vivente della Tradizione.
Mario Polia
Note
1. Cfr. introduttivamente sull'argomento M. Polia,
“Propaideia Christou, il Cristo e
le religioni", I Quaderni di Avallon, n. 4, Rimini 1984.