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Tradizione: il significato di un termine
Mario Polia

1. I significati moderni.

2. Il significato originario.

3. La tradizione cristiana.

 

1. I significati moderni.

Il termine "tradizione", per effetto della graduale corruzione del linguaggio, ha perso, negli ultimi tempi, gran parte della sua primitiva connotazione religiosa ed è oggi usato, per lo più, ad esprimere concetti totalmente differenti o del tutto secondari e derivati rispetto al significato originario. Tali concetti riguardano anche aspetti dell'esistenza profana. Così, dicendo "tradizione" si esprime da un punto di vista antropologico, il complesso di caratteri significativi distintivi della cultura di un popolo per cui si distingue una "tradizione artistica", da una "tradizione tecnologica" da una "tradizione religiosa", in quanto la religione fa parte dei fattori culturali. Si definisce pertanto "tradizionale" un complesso culturale proprio ad una determinata cultura considerata in una determinata epoca e d'accordo a parametri che ne definiscono, in un certo senso, la normalità.

Nel linguaggio comune "tradizione" significa, anche e soprattutto, "abitudine" e "tradizionale" è ciò che è entrato a far parte delle consuetudine, come certi aspetti del costume o della moda e persino certe abitudini alimentari. Il termine non nasconde un'accezione dispregiativa in quanto spesso è usato ad indicare ciò che appartiene al passato (ad esempio la "morale tradizionale") e che va dunque combattuto in nome del progresso.

Allo stesso tempo la parola "tradizione" si presta ad infondere un certo senso di sicurezza e stabilità, ispira una solida fiducia in una qualità sperimentata negli anni evocando la romantica immagine del buon tempo passato in un momento in cui si guarda con crescente apprensione e diffidenza verso certi discutibili aspetti del "progresso". Per tal motivo si assiste ad un recupero massiccio del termine "tradizione" nel linguaggio usato dalla pubblicità.

Ciò serve a sottolineare enfaticamente la lunga esperienza che garantisce la genuinità del prodotto evidenziando la sua differenza rispetto ad altri prodotti ottenuti con sistemi "non tradizionali".

In tutt'altro ambito, quello di certi orientamenti del neo-spiritualismo, i termini "tradizionalismo" e "tradizionalista" sono usati ad esprimere l'adesione ad una posizione culturale, ma anche religiosa e spesso politica, che esplicitamente si oppone al "progressismo" e perciò stesso si fa garante della conservazione di un patrimonio spirituale ideale.

Si tratta, a ben vedere, di neologismi usati impropriamente in quanto la stessa desinenza dei termini (-ismo, -ista) ne palesa il carattere dialettico proprio agli schieramenti ideologici politici e/o confessionali, ma che mal si addice ad una connotazione genuinamente spirituale, e per ciò stesso scevra dallo spirito di parte.

Esiste, in quest'ambito, un non meglio definito "tradizionalismo cattolico", di segno dichiaratamente opposto allo spirito riformista e progressista che ha largamente contraddistinto alcune parti del cattolicesimo moderno. Esso combatte, pur nelle differenziazioni degli schieramenti che si autodefiniscono "tradizionalisti", le riforme liturgiche e istituzionali proclamandosi fedele alla liturgia di San Pio V o dissentendo dalle moderne teologie. Senonché, a ben vedere, "tradizionalismo cattolico" è un termine ambiguo, quasi che il fatto d'essere cattolico sia una specificazione di una categoria generale ed assoluta: il "Tradizionalismo". D'altro canto parlare di un "cattolicesimo tradizionalista", dando al termine il valore di "tradizionale", risulta altrettanto improprio perché si supporrebbe la possibilità, parallela e antitetica, di un cattolicesimo fuori dalla tradizione o, definendo "tradizionalismo" come "interpretazione tradizionale" del cattolicesimo gli schieramenti tradizionalisti si arrogherebbero la prerogativa di essere "il" cattolicesimo.

Neppure ha senso parlare di un "cattolicesimo tradizionale", poiché non può definirsi un cattolicesimo secondo la Tradizione in opposizione ad uno anti-tradizionale. In tal caso sarebbe questione di un cattolicesimo opposto ad un anti- o ad un non-cattolicesimo poiché, privato della legittimazione tradizionale, una via dello spirito cessa semplicemente di essere tale.

Una tradizione, del resto, non può essere definita solo in senso negativo, come opposizione ad un'anti-tradizione, ma richiede di essere definita principalmente in senso positivo nei riguardi del messaggio che essa tramanda e dal quale trae il motivo e la legittimazione della propria esistenza.

Esiste, inoltre, un "tradizionalismo" in senso lato nel quale si riconoscono appartenenti singoli, o gruppi, diversi in quanto a impostazione e tendenze, ma accomunati da un pronunciato antagonismo nei confronti del mondo moderno, delle sue strutture (religiose, sociali, politiche) e della sua cultura (neo-illuminista, edonista, materialista) in quanto se ne avvertono fortemente le limitazioni e le aberrazioni. È comune alle varie tendenze del "tradizionalismo" (cultural-politico e/o spiritualista) la tensione verso il recupero di un'identità "spirituale" dai contorni in genere mal definiti, non-confessionale, caratterizzata dal sincretismo in campo religioso e, spesso, da una componente marcatamente anti-cristiana.

Il Cristianesimo, infatti, viene ritenuto responsabile della crisi spirituale e culturale che ha condotto l'Occidente, per tappe progressive, all'attuale condizione di svilimento e di rinuncia ai valori ideali della sua cultura, o si ritiene il Cristianesimo connivente con chi gestisce il potere culturale.

Contraddistingue tali schieramenti del tradizionalismo l'enfasi data alla componente volontaristica e vitalistica che spesso sfocia in un vero e proprio culto del "superuomo" o dell'eroe, culto motivato dalla crisi d'identità ed inteso come contrapposizione e possibilità di superamento del qualunquismo borghese.

Dal punto di vista politico si assiste ad un accentuato disimpegno alimentato dalla sfiducia nelle strutture che gestiscono il potere o giustificato in nome di un disinteresse del politico a favore del momento "spirituale" o della componente individualistica.

Talvolta a tale disimpegno fa da controparte un "impegno" (ideale o reale) a "destra" (idealmente, culturalmente o politicamente intesa).

Non potendo in questa sede diffonderci sul panorama del "tradizionalismo", non cattolico o anticattolico, limitiamoci tuttavia a notare come anche questo termine sia improprio poiché se l'appartenenza ad una religione qualifica gli appartenenti ad essa come esponenti di quella tradizione (e non genericamente "tradizionalisti"). Quando, invece, il termine "tradizionalismo" sia usato per dare un volto fittizio ad un vuoto religioso e per esprimere un generico afflato verso la dimensione religiosa, sottolineando la non-appartenenza alle vie religiose, il suo uso risulta addirittura illegittimo proprio da un punto di vista "tradizionale" in quanto, come vedremo, non c'è Tradizione - in senso spirituale - se non come "tramandamento" d'una verità d'ordine metafisico (non puramente culturale): incarnata in un sistema dottrinale; trasmessa e custodita da una gerarchia spiritualmente qualificata; contemplante la possibilità di accedere ad essa mediante i mezzi ed i carismi che definiscono una via come "via spirituale" o "religiosa". Inoltre una "tradizione", per esser tale, deve garantire una trasmissione qualificata e ininterrotta nel tempo dalla fonte a chi ne usufruisce, e l'ininterrotta attuazione delle operazioni liturgiche, rituali, "sacrificali”, senza le quali la trasmissione diverrebbe un dato puramente culturale.

Ove tali requisiti manchino non v'è Tradizione ma può esservi al massimo una tensione verso un archetipo tradizionale e in mancanza di Tradizione non si vede come possa esservi "tradizionalismo”, se con esso s'intende la difesa e la salvaguardia d'una tradizione. Un "tradizionalismo" senza Tradizione denota un uso culturale del termine pur svelando oscure pulsioni verso un'autentica trascendenza con motivazioni psichiche (emozionali, velleitarie), pulsioni e motivazioni che d’altronde, di per sé, non sono sufficienti a garantire l'inserimento in una via autenticamente tradizionale.

Il fatto, poi, che si sia abusato del termine "Tradizione" e "tradizionale" e che si sia addirittura coniato un termine, il "tradizionalismo”, che va ad accrescere il numero impressionante degli -ismi di cui è ricca la cultura moderna, prova ancora una volta - semmai ce ne fosse bisogno - l'infallibile verità di quella legge dello spirito che vuole che ciò che nasce da Spirito sia spirito e ciò che nasce da volere di carne (o della mente) sia puro aggregato fisico o psichico e come tale soggetto alle leggi del divenire.

Ciò risulta evidente nel caso del termine in esame che non sfugge all'usura, alla dissacrazione, alla confusione del linguaggio e che risente di tutte le limitazioni dell'appartenenza alla sfera culturale, sia pure d'una cultura sensibile alle istanze religiose. Occorre anche accennare al fatto che in certi orientamenti del neospiritualismo (a sfondo "gnostico”) il termine "tradizionalismo” viene usato ad indicare la presunta appartenenza non a questa o quella tradizione spirituale, ma alla “Tradizione” unica, anteriore alle varie tradizioni e origine di esse (definita variamente come "Tradizione Primordiale“, o “esoterica”, o “iniziatica"). Che una Tradizione primordiale o, più esattamente, una Rivelazione diretta, origine di tutte le tradizioni, sia esistita ai primordi e sia stata comune a tutta l'umanità vivente nello stato “edenico” (o “aureo") è un dato che si evince chiaramente dalle Scritture e dai miti delle più diverse tradizioni. Che il ritorno (o la riconquista) di uno stato di santità e di conoscenza sia possibile a partire dalla condizione di offuscamento e di decadenza che contraddistingue l'uomo dopo la caduta è dimostrato dall'esistenza stessa delle vie religiose che sarebbero totalmente vanificate qualora non fosse possibile il trascendimento dello stato di ignoranza e di disintegrazione spirituale. Il raggiungimento dello stato unitivo con l'Assoluto è dichiaratamente il fine ultimo di ogni Via Tradizionale che implica, pero, il percorrimento regolare della Via fino al suo ultimo scopo, la ove la Via cessa e la tradizione confluisce nella Rivelazione.

Dichiararsi appartenenti alla Tradizione nel senso cui sopra accennavamo, se ben s'intende ciò che si afferma, equivale dichiarare il raggiungimento dello stato unitivo con l'Assoluto, sigillo e prerogativa della santità.

Si tratta dunque, anche in questo caso, di una velleità culturale che reputa avvenuto ciò che è solo una possibilità di sviluppo che richiede, per avverarsi, regolari condizioni di appartenenza ad una Via legittima. Passando ad esaminare il campo contrario, quello della cultura "laica" e progressista, il termine "tradizionalismo” viene usato (spesso con ragione) riferito alle frange dell'oltranzismo religioso e/o politico a denotarne la fondamentale tendenza al conservatorismo, anche quando tale tendenza sia puramente nominale, ma viene pure usato (a torto) per stigmatizzare la normale e legittima funzione "tradizionale” della conservazione dell'essenza della dottrina immune da contaminazioni, distorsioni e menomazioni. “Conservazione” e “conservatorismo” sono due funzioni simili solo per l'assonanza grammaticale dei termini ma ben diverse, sia per i ruoli rispettivamente svolti sia per le motivazioni alle quali rispondono.

Il “conservatorismo” in campo religioso, infatti, riguarda la preservazione filologicamente esatta della forma e denota una fondamentale non-adattabilità alla dinamica dell'azione dello spirito, rivelando un immobilismo che, se salvaguarda da pericolosi cedimenti a tentazioni di secolarizzazione o di libera interpretazione e di progressismo, rischia però di rendere inaccessibile la Sostanza stessa della forma tradizionale.

All'altro estremo, il "progressismo" forza il contenuto della Tradizione all’interno di parametri puramente umani, storicizzandolo e socializzandolo, rischiando con ciò non solo di travolgere lettera e forma ma di intaccare pure la sostanza della Tradizione.

In questo caso la virtù non risiede classicamente “nel mezzo” tra i due estremi ma al di sopra di essi e oltre il piano dialettico che tra di essi inevitabilmente si crea. Essere nella Tradizione vuol dire vivere in una partecipazione diretta e totale alla vita dello Spirito, che, senza tradire il messaggio che dallo Spirito stesso è stato rivelato e dagli uomini tramandato, indica a chi sappia ascoltarne la voce e sappia anche comprendere in profondità le esigenze e il dramma del mondo contemporaneo, i modi di azione consoni ai tempi.

Posto dunque, che da un punto di vista spirituale (che è quello che qui ci interessa trattare) “Tradizione” non equivale ad “abitudine acquisita", non è puramente “conservazione” e non è affatto “conservatorismo", e posto che l'appartenenza ad essa non può mai essere meramente culturale ma deve essere spirituale, presupponendo un carisma e coinvolgendo il pensiero e l'azione, resta da chiarire che cosa esattamente s'intenda per “Tradizione” da un punto di vista religioso, tentando di restituire al termine il suo significato originario e “normale”.

2. I1 significato originario.

“Tradizione” deriva dal latino traditio che ha i seguenti significati:

a)      L'atto materiale della “consegna”, dunque anche nel senso di “resa” (Livio);

b)      “Consegna mediante parole”, dunque “insegnamento”: traditio praeceptorum è “l'esposizione verbale dei precetti” affinché vengano appresi (Quintiliano 3,1,2 e 3);

c)      "Tradizione" (Gellio).

Traditio indica l'atto di tradere, da trans-dare, con il significato di consegnare ed anche “trasmettere”, come un'eredità, una memoria, una notizia, un insegnamento sia a parole che per scritto.

Mos erat a maioribus... traditus: “era costume tramandato dagli antichi”, dunque, “costume tradizionale” (Cornelio Nepote); consuetudo a maioribus tradita: “usanza tradizionale"; patrio more... traditum est: "è tramandato per costume avito"; memoriam posteris tradiderunt: “tramandarono la memoria ai posteri" (Livio) servare traditum ab antiquis morem: “restare fedele a un costume tramandato dagli avi" (Orazio).

Tradere significa, dunque, anche “insegnare": tradere virtutem hominibus: "insegnare agli uomini la virtù ,, (Cicerone).

La preposizione trans indica “al di la", “oltre", con evidente riferimento sia ai limiti temporali che la memoria tramandata sorpassa e vince, sia ai limiti dello spazio fisico (che terrebbero la memoria imprigionata se questa non venisse trasmessa) sia ai limiti dell'esperienza soggettiva di colui che, possedendo una conoscenza, la partecipa ad altri mediante la trasmissione.

Ma trans-dare indica anche la consegna trans-personale di un dato culturale (in senso lato), che esiste anteriormente a colui che lo riceve e che questi apprende per la prima volta da chi lo istruisce per poi, a sua volta, trasmetterlo. Il trasmettere indica forzatamente un ricevere e un dare.

La trasmissione in senso etico-religioso riguarda, come si e visto negli esempi citati, il mos maiorum che indica la “volontà divenuta norma di condotta presso gli antenati”. Mos è anche "condotta”, “comportamento etico”, “stile di vita”, e “volontà divenuta precetto, regola di comportamento". Il mos maiorum, che è oggetto di trasmissione, non riguarda soltanto l'universo etico e giuridico ma anche - e soprattutto - l'universo religioso dal quale prende vita e sul quale si fondano, nell'epoca arcaica, e l'etica e il diritto. Mai come nel campo religioso Roma resta fedele, nelle istituzioni e nei riti della religione tradizionale al mos maiorum, a tal punto da conservare integralmente nei carmina rituali le forme e le espressioni della lingua arcaica pur quando queste risultavano ormai di difficile comprensione agli stessi sacerdoti.

Poiché, all'origine, il mos era l'insieme dei comportamenti etico-religiosi che abbracciavano il campo del diritto pubblico e privato, le istituzioni familiari e sociali, il diritto militare e, prima di tutto, lo svolgimento statale e privato dei riti religiosi, è normale che la trasmissione del mos riguardasse proprio i principi e i precetti sui quali il mos si fondava, nonché il valore etico della pietas verso gli dèi sulla quale si fondavano tutte le altre virtù del cittadino romano. La traditio morum possedeva, a Roma, valore normativo e rivestiva una funzione di primaria importanza in quanto Roma riponeva la sua identità “romana" proprio nel mos maiorum.

Risalendo verso le origini, seguendo cioè a ritroso la direzione temporale del trans-dare oltre i più lontani avi dei quali si abbia ancora ricordo, si giunge al tempo mitico delle origini che è, nel contempo, fonte e legittimazione della traditio morum e dei mores stessi. Si tratta infatti, del tempo in cui vissero gli eroi culturali fondatori non solo dell'Urbe (Romolo), o del diritto religioso (Numa, ispirato da un'entità non-umana) ma, ancor prima, i fondatori divini delle norme di convivenza civile, dei costumi propriamente “umani”, rivelatori dei rapporti che permettono l'ordinato equilibrio tra i due mondi: l'umano e il divino (Giano, Saturno) o portatori in terra italica di un mos e di una pietas antichissimi e illustri (Enea).

Il significato di trans, l'”oltre", risalendo verso le origini esprime dunque il passaggio dal mondo degli uomini al mondo degli dei, dal tempo della storia vissuta al tempo sacro - o tempo religioso - che è fondamento della storia.

La Tradizione collega ogni momento della storia con la sfera del Sacro, ed è essa stessa d'origine divina.

Roma, come qualunque altra civiltà “tradizionale" che fonda su tradizioni religiose le norme della propria esistenza, contempla, alle origini della propria tradizione un elemento non-umano o semidivino (Egeria, Romolo, Enea).

Presso altre tradizioni, alle origini della tradizione stessa sono, come primi rivelatori, esseri semidivini; eroi culturali; uno degli dèi o dio stesso.

Se l'origine della tradizione - in quanto tradizione sacra - è ritenuta dichiaratamente non-umana, come documenta lo sconfinato materiale di studi storico-religiosi od etnologici, ecco dunque che il senso del trans-dare si chiarisce ulteriormente nelle sue valenze spirituali più profonde come l'atto di tramandare “attraverso ed oltre” i tempi, gli spazi e le generazioni umane, un complesso di conoscenze sacre ricevute “dall'aldila", dall'alto (trans-data, tradita) nei tempi sacri delle origini e codificate dagli antenati come norme sacre di comportamento in tutti i campi dell'esistenza umana. Il fatto, inoltre, che tali conoscenze sacre appartengono, per la loro origine e la loro essenza, al tempo sacro è immutabile delle origini implica la necessità di poter effettuare il ricongiungimento con "quel tempo”, che, congiungendosi alla storia e fecondando il tempo vissuto con la forza spirituale di cui e pregna, opera - mediante il rito e il sacrificio - l'ordinamento sacro dello spazio e del tempo profani.

Dietro l'etimo di “tradere” come "trans-dare" si intravede, dunque, una dinamica di “trasmissione” svolgentesi secondo due movimenti: uno “verticale”, dal dio all'uomo (dall'eroe culturale ai primi uomini, ecc.); l'altro orizzontale, dall'uomo agli uomini.

Circa l'”oggetto" della trasmissione occorre inoltre dire che questo non è formato solo da un bagaglio di conoscenze intellettuali “sul sacro" ma è costituito innanzitutto da un'autorità carismatica -- intesa nel senso del latino auctoritas, come potere spirituale - che è data dal dio all'uomo e dall'uomo all'uomo per opera del dio, autorità capace di realizzare quel sacrum facere che, per essere posto in atto, richiede una qualificazione sacerdotale e a pontificale". Compito della tradizione è, infatti, far da ponte tra il divino e l'umano affinché, tramite lo stesso ponte, l'umano possa attingere il divino. Ciò postula, evidentemente, la certezza che nell'uomo al quale la trasmissione è diretta vi sia la capacita connaturata di trascendere i limiti propriamente “umani” e presuppone agente il senso del divino come ricordo della sostanziale, latente, natura divina dell'uomo.

La trasmissione di un dato tradizionale introduce inevitabilmente, nel tempo, alterazioni che sfigurano il contenuto della trasmissione, sia perché l'essenza ne rimane offuscata o persa di vista per la corruzione del ricordo, o per le aggiunte e le interpretazioni che ne hanno distorto via via il significato, sia per il progressivo ottundimento della capacità di intenderne il linguaggio simbolico. Quest'ultimo fattore si deve, in genere, al sopravvento in campo filosofico di un criterio razionalistico di conoscenza che si sostituisce alla visione religiosa del mondo. Tale processo è chiarissimo nella Grecia dei tempi di Socrate quando gli antichi miti, sottoposti alla critica del razionalismo, privati del loro contenuto simbolico che, come tale, rimandava a verità spirituali perenni, passarono da “narrazioni" e “discorsi” sacri a “favole” frutto della fantasia dei poeti.

Altri fattori possono alterare l'integrità di una tradizione come, ad esempio, i processi di deculturazione o di inculturazione susseguenti una sconfitta militare, o favoriti da una decadenza interna del sistema religioso per una sorta di “entropia culturale”, che non risparmia neppure il dominio della religione, o causati da correnti culturali provenienti dall'esterno che veicolano nuove conoscenze e teorie religiose, nuovi metodi di approccio al divino provenienti da altri orizzonti culturali provocando, allo stesso tempo, domande e risposte nuove a nuove esigenze. A questi due ultimi fattori, alla decadenza interna e alla deculturazione e inculturazione operata da altre culture si devono, ad esempio, l'instaurarsi in Grecia dei culti misterici provenienti dal vicino Oriente e il lento processo di acculturazione operato dalla filosofia e dalla cultura greca nella Roma del secolo degli Scipioni.

Come conseguenza della decadenza interna di una forma religiosa, e dei concomitanti processi di deculturazione ed acculturazione, si verificano fenomeni di sclerosi delle forme tradizionali - divenute incapaci di svolgere il loro ruolo nelle mutate condizioni culturali. Quando gli apporti provenienti da altre tradizioni religiose vengono a contatto con il nucleo della tradizione in decadenza si verificano fenomeni di sincretismo che finiscono per desautorare e soffocare quanto resta della tradizione originaria. Gli stessi apporti, quando giungono a confronto con una tradizione nella piena forza della sua vitalità, vengono reinterpretati, purificati dagli elementi con quella contrastanti ed entrano a far parte di essa in una salda sintesi, che è fenomeno assai diverso dal sincretismo.

Questo riguarda, infatti, forme esteriori che vengono aggregate più o meno liberamente in un coacervo di elementi spesso in contrasto tra loro senza un centro di attrazione che li ordini. La sintesi contempla, al contrario, la possibilità di assimilazione e di fusione da parte di un centro spirituale vivente di elementi omologhi in quanto fondati sulle stesse verità metafisiche che danno vita alla tradizione che li assimila.

Si assiste sovente, nella storia delle religioni, al passaggio di elementi culturali (simbolici, liturgici, sacrali) da una tradizione precedente ad un'altra. Il fenomeno si spiega, dal punto di vista antropologico, in base ai processi di osmosi o di deriva culturale (culturat drift) a seconda che tali elementi siano desunti dallo stesso sostrato culturale d'appartenenza o dall'esterno.

Due esempi bastino: il dies natalis solis invicti, sacro a Mithra, al quale si sovrappose il Natale cristiano, e il Ciclo medioevale del Graal che si fonda su elementi della tradizione Celtico-germanica rielaborati in una visione cristiana e cavalleresca. Nel primo caso, notiamo che le due feste - quella mithraica e quella cristiana - coincidono entrambe con un momento particolarmente significativo dell'anno dal punto di vista simbolico e religioso: il solstizio d'inverno. D'altronde nello stesso giorno, da circa cinque secoli, prima del Cristo, era stata fissata dalla tradizione buddhista la nascita del principe Gautamo Siddharta degli Shakyamuni, che sarebbe divenuto il Buddha. In questo caso è evidente che le tre “nascite divine”, in tre diverse tradizioni, a prescindere dalla realtà storica della data, “dovevano” avvenire in “quel” giorno in quanto era il più adatto a significare il ritorno della luce e della vita, il rinnovamento, ecc. presso culture particolarmente sensibili a tali assonanze simboliche.

Nel secondo caso, il Ciclo del Graal, gli elementi significativi sono certamente desunti dalla tradizione celtica, ma molti di essi (la Coppa, la Lancia, la Terra Desolata, le Prove che la Cerca comporta, il ruolo della Regalità sacra, la mitica Isola delle origini, ed altri) sono pure presenti in altre tradizioni ed, inoltre, gli stessi elementi si ordinano e prendono vita intorno ad un Cuore spiritualmente vivente, che e quello della tradizione cristiana (imperiale) del secolo tredicesimo.

Spiegare la ripresa degli elementi sacrali dalle tradizioni precedenti usando il metodo antropologico ha una piena giustificazione in sede di studi antropologici e storico-religiosi ma assume un significato assolutamente secondario da un punto di vista essenzialmente “religioso” da cui ha un senso chiedersi non solo “come" e “quando" una tradizione ha assunto tali elementi ma anche e soprattutto “perché” li ha assunti. Ciò equivale a interrogarsi sul senso profondo (metafisico) di certi simboli che, per la loro portata e per le verità spirituali che adombrano, non possono essere assolutamente appannaggio di una o dell'altra tradizione ma appartengono alla Sapienza perenne che dall'Alto e dal Profondo vivifica.

Sarebbe di sommo interesse a tale proposito, analizzare i simboli coi quali Dio si rivolge agli uomini nelle Scritture, simboli che fanno parte della Parola della Rivelazione. Ma su ciò pensiamo di tornare in un prossimo studio sul simbolo.

Si è accennato prima ai processi di alterazione e decadenza delle forme tradizionali. Se ci si interroga sulle cause di tale decadere si nota che le spinte dissolutrici provenienti dall'esterno hanno un ruolo del tutto secondario: infatti tali spinte hanno buon gioco nel determinare il declino di una tradizione solo quando questa versi già in una crisi profonda e stia sul punto di perdere i valori ideali (spirituali) di riferimento. Il motivo di tali crisi è da ricercarsi sempre all'interno della tradizione stessa in un allontanamento dei portatori di essa dal centro spirituale vivente, dal “cuore” della tradizione. Quando la vita spirituale non giunge più dal “cuore” a dar vita alle forme della tradizione esse si svuotano di significato, questa “si ammala” e perde le armi per combattere i processi di dissoluzione che la minacciano dall'interno e dall'esterno - a meno che non si verifichi un ritorno al “centro”.

Affinché la trasmissione del nucleo spirituale della tradizione, della dottrina, e dei veicoli sacri d'approccio al centro spirituale (i riti) avvenga in modo corretto, occorre che siano garantite due funzioni fondamentali: la prima è la conservazione del dato tradizionale (il contenuto metafisico della dottrina, il depositum) nella sua espressione più pura e originaria e al riparo dalle interpretazioni personali. La conservazione e il tramandamento sono garantiti dall'insegnamento autorevole.

La funzione della conservazione è garantita, nelle società “primitive”, dal consesso degli anziani (anche il senatus romano era un consesso d'anziani) o, presso altre società, da collegi sacerdotali o da vere e proprie “chiese” che hanno il compito di conservare il nucleo tradizionale veicolato dai miti e dalle Scritture, di tramandarlo, di garantire il corretto svolgimento delle azioni religiose per eccellenza (preghiere, riti, iniziazioni) che debbono assicurare non solo il corretto rapporto tra uomo e sacro (tra uomo e divinità) ma altresì permettere l'inserimento del neofita (= “nuova pianta”) nella linfa della tradizione mediante i riti di iniziazione che operano tale inserimento e “creano” l'appartenenza alla tradizione.

La seconda funzione è, appunto, quella propriamente rituale o “sacrificale” nel senso latino del sacrum facere. Mediante questa funzione viene operato il contatto diretto con la fonte stessa della tradizione, contatto che assicura la presenza dello spirito in tutto il corpus tradizionale. Senza tale presenza questo sarebbe un corpo privo di vita, soggetto ad un inarrestabile processo di corruzione.

Nelle società illetterate la “tradizione” vera e propria avviene per trasmissione orale. Tutte le grandi tradizioni hanno conosciuto una trasmissione orale sia nei tempi in cui non v'era scrittura (o non la si usava per fini religiosi), sia nei riguardi di certi elementi sapienziali che non si considerava opportuno affidare alle lettere.

Il passaggio dalla “tradizione orale” alla scrittura se, da un lato, salvaguarda dalla labilità della memoria e dagli apporti personali, dall'altro fissa inesorabilmente lo spirito della dottrina in un testo letterario che richiede di essere interpretato non solo “nella” lettera ma anche “oltre" la lettera nella comprensione dei simboli che velano le realtà profonde dell'insegnamento tradizionale. Tale interpretazione, per non essere fuorviante o illegittima, richiede d'essere effettuata da un'autorità in grado di garantirne la legittimità. In entrambi i casi, tuttavia, che si tratti cioè di tradizioni scritte o tramandate oralmente la trasmissione originaria - secondo il movimento verticale - dalla fonte al primo recettore (profeta; ispirato) avviene comunque sempre tramite la Parola.

3. La tradizione cristiana.

Fedeli all'idea che non può parlarsi di una Via se non dall'interno di essa, passiamo ora a delineare per sommi capi il concetto di “tradizione" secondo la dottrina cristiana. Là dove la brevità dello spazio a nostra disposizione non ci permette di trascrivere per esteso i testi scritturali ci limitiamo a darne i riferimenti in modo che il lettore interessato all'argomento possa compiere un'utile opera di approfondimento. La Parola di Dio dichiarata agli uomini nella rivelazione e la Fonte e, allo stesso tempo, l'oggetto della tradizione. La Rivelazione è trasmissione della verità da Dio agli uomini, dunque in senso stretto “Tradizione”, che viene rivelata per un atto gratuito della divinità.

Unica e l'Origine dell'unica Rivelazione: il Dio unico poiché «dalla sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto» (Gv 1,16). Ma in quanto Dio e Uno e Trino tre sono le persone divine che presiedono alla rivelazione: il Padre è l'Origine della Parola, è la Parola non rivelata. Il Figlio, nella sua Parola, rivela il pensiero del Padre altrimenti inconoscibile: «...tutte le cose che mi hai dato vengono da te, perché le parole che hai dato a me io le ho date a loro» (Gv 17,7). «In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio, e il Verbo era Dio» (Gv 1,1), «...e il Verbo si fece carne, e venne ad abitare in mezzo a noi» (Gv 1,14). Lo Spirito Santo, dopo l'ascesa al cielo del Signore, porta a compimento la Rivelazione: «Il Consolatore, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto» (Gv 14,26; 16,13).

Lo Spirito da’ gloria a Cristo (Gv 15,26- 16,14) come il Cristo da’ gloria al Padre (Gv 17,4) e come il Padre glorifica il figlio (Mt 3,17; Gv 8,54; Gv 17,5) ed è glorificato nel Figlio (Gv 14,13).

La Rivelazione ha inizio nell'Eden prima della caduta, in modo diretto, dal Padre all'uomo, suo figlio.

La Tradizione è necessaria e normale alla condizione umana susseguente la caduta dal momento che l'offuscarsi delle facoltà spirituali rende possibile ad ogni momento il travisamento delle verità da Dio comunicate all'uomo.

La Tradizione tramanda intatto il ricordo dell'annuncio divino e, contemporaneamente, tramanda la conoscenza e le forme dei mezzi adatti a rendere possibile il ritorno alla Fonte. In una parola la Tradizione rende possibile la Religione come “ricollegamento” dell'umano al divino.

Dopo la caduta Dio non abbandona gli uomini e parla loro per mezzo di uomini ispirati direttamente dallo Spirito: i profeti. «Il Signore mi disse: "prenditi una grande tavoletta e scrivici...”» (Is 8,1).

«Il Signore rispose e mi disse: "scrivi..."» (Ab 2,2).

«Lo Spirito Santo con una forza soprannaturale eccitò e mosse gli autori ispirati a scrivere, li assistette nello scrivere in tal modo che essi tutto quello, e solo quello che Egli voleva, rettamente concepissero col pensiero, fedelmente volessero mettere per iscritto ed acconciamente esprimessero con infallibile verità» (Leone XIII, Providentissimus Deus).

«Non da volontà umana fu recata mai una profezia, ma mossi da Spirito Santo parlarono quegli uomini da parte di Dio» (2 Pt 1,20-21).

La Legge prima di essere consegnata alla scrittura fu trasmessa con la parola e conservata con la memoria: la maggior parte dei libri biblici prima di essere messi per iscritto erano tramandati oralmente (cfr. Dt 4,9; 11,19; Sal 44,2; 78,3 s; Gb 8,8; 12,12; Sir 8,9-12).

Contemporaneamente anche fuori di Israele Dio non abbandonava gli uomini e non cessava di ispirare loro, in diversi modi, alcune eredità fondamentali dello spirito attuando quella che alcuni padri chiamarono propaideia Christou1. Ma nell'Antico Testamento Dio dette l'annuncio più completo e preparò il cammino di Redenzione che sarebbe stato portato a compimento dal Figlio.

Con la venuta del figlio la Parola di Dio si fa carne e rivela agli uomini il pensiero del Padre proclamando «cose nascoste fin dalla fondazione del mondo» (Mt 13,13; Sal 78,2). «Io sono l'Alfa e l'Omega... Colui che e (o on), che era e che viene, l'Onnipotente (o pantokrator)» (Ap 1,8). L'Alfa e il Cristo nel Padre, sorgente della Rivelazione, prima di tutti i tempi. E’ il Verbo di Vita che risplende nel fiat lux: «...tutto è stato fatto per mezzo di Lui, e senza di Lui nulla è stato fatto di tutto ciò che esiste» (Gv 1,3). L'Omega è il Cristo inviato dal Padre per renderGli testimonianza e portare a compimento la Rivelazione e la Redenzione. Alfa ed Omega sono contenute nella pienezza dell'Essere (o on) come possibilità del piano di redenzione. Il compimento e perfezionamento che non contraddice quanto prima era stato rivelato nella Legge __i profeti, né lo potrebbe, essendo unica la Fonte della rivelazione: pensate che io sia venuto ad abolire la Legge o i profeti: «Non sono venuto per abolire, ma per dare compimento (plerdsai: "dare pienezza")» (Mt 5,17). Ma pur senza alterare la sostanza della Rivelazione il Cristo dovette implacabilmente condannare le norme umane erette a tradizione nella Tradizione in quanto «...dottrine che sono precetti di uomini» (cfr. Mt 15, 1-9) come quando gli scribi rimproverarono i discepoli di Gesù di trasgredire la tradizione degli antichi per non aver compiuto le abluzioni previste prima del pasto. In quell'occasione il Cristo sottolineò a chiare parole il fatto che esiste una tradizione puramente umana che può sovrapporsi ai comandamenti di Dio e indurre a trasgredir «perché voi trasgredite il comandamento di Dio in nome della vostra tradizione?». Gesù a più riprese antepone la purezza interiore a quella puramente esteriore prescritta dalla tradizione (cfr. ad es. Mt 12,8; 15,10s; Mc 2,27; At 10,9-16. 28; Rm 14,14s).

Il Cristo è «sacerdote in eterno secondo l'ordine di Melkitsedeq» (Sal. 110,4; Eb 7; 8; 9; 10) abolisce l'antico sacerdozio levitico «a causa della sua debolezza e inutilità» (Eb 7,18) e inaugura «Un sacerdozio che non tramonta. Perciò può salvare perfettamente quelli che per mezzo di lui si accostano a Dio, essendo egli sempre vivo per intercedere a loro favore» (Eb 7, 24-25). Abolisce gli antichi sacrifici e pone se stesso come Sacerdote e Vittima «una volta per tutte» (Eb 7,27) «nella pienezza dei tempi» (Mc 1,15; Gal 4,4). Dio stringe con gli uomini una «alleanza nuova» (Ger 31, 31; Eb 7,13) in virtù della quale Dio stesso pone le sue leggi nella mente e nel cuore degli uomini (Ger 31) attuando la pienezza della Rivelazione.

Affinché dopo la sua missione terrena, l'opera sua fosse proseguita Gesù istituisce gli Apostoli come primi custodi e portatori dell'Annuncio inaugurando l'era della Tradizione apostolica. Nel far ciò agisce secondo un criterio di elezione: «non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi » conferendo loro un carisma specifico «...e vi ho costituiti perché andiate» (Gv 15,16).

«Chiamati a sé i dodici discepoli diede loro il potere di scacciare gli spiriti immondi, di guarire ogni sorta di malattie e di infermità» (Mt 10,1; Lc 6,13).

Agli apostoli viene concesso il potere di parlare secondo lo Spirito: «...non siete infatti voi a parlare, ma è lo spirito del Padre vostro che parla in voi» (Mt 10,20; Cfr Mc 13,11; Lc 12,12). Il Cristo trasmette ai suoi apostoli, e non solo ai dodici ma alla Sua Chiesa, il potere di tramandare il Suo insegnamento. La Tradizione è propriamente un'autotrasmissione dello Spirito per mezzo degli uomini: «andate... e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole... insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ecco, io sono con voi tutti i giorni... ».

La trasmissione dello Spirito non può essere fatta in nessun modo dall'uomo se non in quanto questi, concedendo la sua mente e il suo cuore allo Spirito ne venga talmente trasformato da non essere più lui a parlare ma lo Spirito per bocca sua. ed è lo Spirito che concede all'apostolo il carisma profetico e sacerdotale.

S. Paolo (Ef 4,11-13) afferma: «Lui che ha stabilito alcuni come apostoli, altri come profeti, altri come evangelisti, altri come pastori e maestri». Occorre essere «inviati» per annunciare (Rm 10,15). Gesù distingue quelli che vengono «nel proprio nome» da sé stesso che viene nel nome del Padre (Gv 5,43). La potenza della Parola - che e la potenza dello Spirito che la rivelò - opera, attraverso l'annuncio, nello spirito dell'uditore e provoca in lui la fede, questa suscita in lui la devozione e l'amore (Rm 10,14).

«La fede dipende dalla predicazione (letteralmente: "dall'aver ascoltato") e la predicazione, (letteralmente "l'ascolto", akoe) a sua volta si attua per (dia) la parola di Cristo» (Rm 10,17).

Senza una connessione vitale con la Fonte della rivelazione è priva di una legittimazione dall'alto, nessuna trasmissione orizzontale sarebbe infatti possibile. Proclamarsi seguaci di una Via unicamente perché si sono studiate (anche se in modo approfondito) le tematiche tradizionali senza aver posto in atto un'adesione totale alla Tradizione, equivale a conoscere dettagliatamente i sistemi di coltivazione della vite e le operazioni necessarie ad ottenere il vino senza possedere il vino stesso o la materia prima per produrlo. Il Cristo è infatti la vite, l'uomo il tralcio. La vite ha la linfa: la Parola che nutre e la Grazia che da vita. Il tralcio è veicolo della linfa vitale ed esiste in funzione del frutto che da lui nascerà.

«Io sono la vera vite e il Padre mio è il vignaiolo. Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo toglie e ogni tralcio che porta frutto lo pota perché porti più frutto» (Gv 15, 1-3).

Nel frutto la linfa trova compimento manifestandosi nella dolcezza dell'uva e nella potenza del vino: il mistero che inebria. E il vino nasce dal sacrificio del frutto e dalla comunione dei frutti sacrificati, come il pane dalla frantumazione della spiga.

Paolo, rivolgendosi ai Tessalonicesi, dice: « ...avendo ricevuto da noi la parola divina della predicazione, l'avete ascoltata non quale parola di uomini (logon anthropon) ma come è veramente, quale parola di Dio (logon Theou) » (1 Tes 2,13). Pur essendo stata tramandata per iscritto tutta la Parola nella sua essenza, tuttavia le parole pronunciate dal Cristo non furono consegnate tutte agli scritti dagli Evangelisti e dagli Apostoli che, pur avendole udite dalla bocca del Redentore parte ne tramandarono per iscritto, parte oralmente: «ci sono molte altre cose che ha fatte Gesù, le quali, se fossero scritte ad una ad una non so se il mondo stesso potrebbe contenere i libri che si dovrebbero scrivere» (Gv 21,25). «Avrei votuto scriven~i molte altre cose ma non ho voluto farlo per mezzo della carta e dell'inchiostro... » (2 Gv 12; cfr. 3 Gv 13). E Paolo dice ai Tessalonicesi: «state saldi e mantenete le tradizioni (tas paradoseis) che avete apprese cosi dalle nostre parole cosi come dalla nostra lettera».

E’ esistita, dunque, una tradizione orale ed una scritta pur trattandosi della medesima Tradizione in due aspetti complementari e non di due tradizioni opposte e irriducibili fra loro. E non potrebbe che essere cosi poiché nell'unica Fonte della Rivelazione non può esservi contraddizione. Se si riscontrano contraddizioni nella dottrina queste sono imputabili alle interpretazioni o alle aggiunte degli uomini.

Il Cristo spiegava in privato (kat'idian) ai suoi Discepoli il significato delle parabole (Mc 4,34) perché ad essi era «dato di conoscere i misteri del regno dei Cieli», mentre agli altri non era dato (Mt 13,11) ma allo stesso tempo ingiungeva loro di diffondere completamente il suo insegnamento: «...non v'è nulla di nascosto che non debba essere svelato, e di segreto che non debba essere manifestato. Quello che io vi dico nelle tenebre ditelo nella luce, e quello che ascoltate all'orecchio predicatelo sui tetti» (Mt 10,26-27). L'insegnamento che il Cristo impartì ai soli discepoli costituiva il nucleo sapienziale, la verità spirituale, presentata attraverso le allegorie delle parabole ma non le contraddiceva, cosi come queste non contraddicevano ma annunciavano in modo comprensibile ai più quel “linguaggio duro” che altrimenti non sarebbe stato compreso. Gli Apostoli trasmisero l'intera Dottrina, cosi come era stata insegnata loro dal Maestro usando principalmente la parola, cosi come il Maestro aveva fatto e alla parola affiancarono, quando lo reputarono opportuno, la lettera. Tuttavia la lettera contiene intero senza contraddirlo l'insegnamento orale e dagli scritti degli evangelisti e degli apostoli è desumibile in essenza l'intera Dottrina cristiana così come fu rivelata dal Salvatore. A sua volta l'insegnamento orale non poteva contraddire la lettera per il principio di non-contraddizione che è in Dio. Attraverso l'insegnamento apostolico infatti, il Cristo stesso insegna con l'assistenza dello Spirito Santo che non cesserà di assistere e proteggere la Chiesa fino alla parusia del Figlio garantendo cosi l'integrità della Dottrina - e solo in ciò che concerne la Dottrina - nonostante tutti i cedimenti degli uomini che compongono la Chiesa, in quanto se l'uomo può tradire Dio, Dio non tradisce le sue creature.

Fondandosi sul fatto che alcuni insegnamenti sarebbero stati tramandati oralmente dagli apostoli, una falsa gnosi “cristiana” ha ipotizzato fin dai primi secoli una trasmissione “esoterica” con pratiche e rituali propri, a latere e al di fuori della Chiesa di Pietro, che sarebbe depositaria della sola lettera e delle pratiche devozionali. Esisterebbe dunque, in certi orientamenti del neospiritualismo, una "Chiesa nella Chiesa” o una “Tradizione nella Tradizione” da contrapporre con disprezzo al cristianesimo sfaldato ed ibrido della “Chiesa ufficiale”. Esisterebbe, secondo tali orientamenti che si rifanno in larga parte al pensiero teosofico, un “esoterismo cristiano” che si rifarebbe a insegnamenti e pratiche tramandate esclusivamente da bocca a orecchio dal Maestro fino ad oggi. Tali insegnamenti e pratiche tendono a sostituirsi agli insegnamenti "ufficiali” ed alle pratiche sacramentali in quanti si presumono dotati di differente qualità ed efficacia spirituale. Non intendiamo negare la possibilità di un esoterismo cristiano inteso come "compimento” della Via del Cristo e come possibilità di fruizione profonda della verità e della Vita che sono in Cristo Gesù; ciò che recisamente neghiamo è la distorsione operata dal neo-spiritualismo ai danni del significato del termine. Neghiamo cioè che un compimento - inteso come perfezionamento - sia possibile al di fuori del Corpo Mistico di Cristo al quale, e solo al quale, è stata garantita l'assistenza dello Spirito. Neghiamo altresì che un insegnamento "cristiano” possa trovarsi al di fuori del Corpo Mistico di Cristo, cioè fuori dalla Sua Chiesa e, dunque, dall'ortodossia della Tradizione che riguarda sia la Dottrina sia le pratiche rituali e di preghiera. Se si usa il termine "cristiano" come viene usato da certi orientamenti gnostici del neo-spiritualismo, occorre intenderci innanzitutto sul significato del termine stesso a dimostrare l'improprietà del suo uso. "Cristiano” esprime infatti l'appartenenza e la partecipazione alla Vita del Cristo e, dunque, nel caso delle vie di santificazione sono legittimamente “cristiane” le vie fondate integralmente sulla Dottrina proclamata dal Cristo e tramandata dalla tradizione apostolica della quale è depositaria la Chiesa. Tali vie indicano come mezzi di santificazione i mezzi proclamati tali dal Cristo pur con propri metodi o con propri approfondimenti di certi aspetti teologici, liturgici, sapienziali e devozionali e con l'enfasi data alla coltivazione di particolari virtù. Maestri o vie che non posseggono questi due requisiti non sono cristiani.

Solamente seguendo compiutamente la Via mostrata dal Maestro e fondata sulla sua autorità, sulla quale si poggia il Magistero Apostolico, potrà giungersi alla verità che e il fine supremo della Conoscenza di Dio nell'amore del suo Cristo. Ma tale verità, che corrisponde al Cuore di Gesù sul quale Giovanni poggiava il capo a udirne il pulsante mistero, è posta, come il cuore, al centro del Corpo Mistico, non al di fuori di esso perché al di fuori di Cristo - e ciò significa contro il Cristo - non v'è che tenebra e assenza di Dio. Quando Gesù dice che solo ai suoi discepoli e dato «conoscere il mistero del Regno» si riferisce alla conoscenza dell'aspetto interno della Dottrina, non ad un'altra dottrina, e quando afferma a Pietro che 1'interroga che il discepolo prediletto rimarrà fino alla sua venuta (Gv 21,22; cfr. Mt 16,28) intende garantire la possibilità di accesso alla comprensione del suo Cuore a quanti, chiamati a ciò come lo fu Giovanni, e fedeli al Maestro come Giovanni lo è stato, saranno suoi discepoli prediletti. Questi giungeranno nella barca dove e insieme Pietro e Giovanni (Gv 21), alla sponda del lago dove Cristo li attende per dar loro il mistico cibo del pane e del pesce.

Tornando all'argomento della necessita di conservare integro il deposito tradizionale, Pietro esorta a non sottoporre le Scritture a interpretazioni personali in quanto, cosi facendo, la ragione dell'uomo si sovrapporrebbe alla ragione di Dio, la parola alla Parola poiché i profeti furono mossi dallo Spirito Santo (hypò pnéumatos hagiou feròmenoi) e «nessun uomo ha mai profetizzato per volontà sua» (2 Pt 1, 20-21). Mirabilmente Pietro illustra la funzione della Parola consegnata alla Scrittura per mezzo dell'opera dei profeti alla quale occorre guardare come «lampada che splende in luogo oscuro, finche non spunti il giorno e non si levi nei cuori l'aurora mattutina» (2 Pt 1,19).

L'”aurora" metaforica cui allude l'apostolo esprime il sorgere della conoscenza di Dio in Cristo, conoscenza che non abolisce l'autorità delle Scritture. Essa avviene per “visione diretta” - al di là della lettera scritta - in quanto si è raggiunta la Fonte dalla quale promana, in tutti i tempi, l'ispirazione che crea profeti o, meglio, ci si è disposti a che l'acqua della Grazia e della Conoscenza che dalla Fonte promana, attuando la catarsi salvifica permetta alla Vita di rifulgere in tutta la sua pienezza. L'Apostolo indica chiaramente che non si tratta di conoscenza mentale in quanto precisa che e il "cuore” secondo le valenze che tradizionalmente questo simbolo possiede, la sede della conoscenza delle Scritture, conoscenza dapprima caliginosa, in seguito trasparente e radiosa come cielo al levarsi del sole.

La "lampada che splende" è anch'essa portatrice di luce, di una luce certo meno intensa di quella del sole, ma pure con sostanziale ad essa ed adatta alla capacita di chi la vede: luce da Luce.

Nel cuore l'amore dell'uomo si incontra con l'amore divino per l'uomo: il raggio di sole trafigge e feconda la terra; il braccio verticale della mistica croce si incontra con il braccio orizzontale; la verticalità dell'albero della vita si espande e fruttifica nell'orizzontalità dei rami. Ecco, dunque, chiarirsi ulteriormente il senso e la funzione del trans-dare come l'atto di “consegnare” una luminosa certezza che viene dal di là (trans) della natura umana ma che è entrata a far parte integrante dell'uomo poiché non potrebbe essere dato ciò che non è posseduto. Contemporaneamente il "dare” pur essendo opera della persona umana deve avvenire come atto d'amore e di conoscenza che promana dal centro divino della natura umana posto oltre (trans) le limitazioni dell'umana natura, dell'umano pensiero e delle possibilità dell'umana parola e che ordina la creatura portatrice della Parola, Sacerdote dell'Altissimo e alter Christus.

La metafora del fuoco e della lampada (già usata più volte dal Maestro) è adatta, meglio di qualunque discorso, ad esprimere la dinamica della trasmissione tradizionale. Affinché il fuoco splenda occorre che vi sia un sacrificio ed una trans-mutazione: il sacrificio della materia sottoposto all'azione della fiamma e la contemporanea trasmutazione della sua natura in luce e calore. Occorre sia la disponibilità interiore della materia stessa sia la presenza del fuoco trasformatore. Questo agirà simpateticamente sulle possibilità interiori della materia e tale azione sarà possibile in quanto la materia racchiude già nelle sue viscere la potenza dormiente del fuoco. Occorre che l'uomo, che possiede in sé l'immagine di Dio ma ne è inconsapevole, venga trasformato dall'Amore e dalla Luce. Dio, che è amore e luce, suscitando in lui la fiamma, lo renderà portatore del Suo fuoco. Questo sgorgherà dalla combustione dell'umana natura a contatto con la natura divina che è nell'uomo, ridesta in Dio con la vivente consapevolezza della consustanzialità delle due nature: quella della creatura e quella del Creatore, del fuoco e del Fuoco, della fiammella del lucignolo e del Sole dei soli. Non si è portatori della Tradizione tenendo unicamente tra le mani la lampada, ma essendo la lampada stessa: solo in tal modo la potenza della Luce potrà raggiungere altre creature dormienti nella tenebra e destarle nel suo abbraccio. Tutti coloro che, chiamati da Dio, testimoniano la Sua Parola sono suoi apostoli: a loro è richiesta la testimonianza che è sacrificio nel senso del latino sacrum facere e martirio come testimonianza in senso greco, e come disposizione a perdere la propria vita per raggiungere la Vita. E’ quanto richiesto a chi voglia fare opera autenticamente "tradizionale”: «sarete odiati da tutti a causa del mio nome». E la testimonianza tradizionale non da’ solo saggezza a chi l'ascolta ma anche a chi la attua: «beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate, perché grande e la vostra ricompensa nei cieli» (Mt 5, 11-12).

«Le cose che hai udito da me... trasmettile a persone fedeli, idonee ad ammaestrare, a loro volta anche altri» (2 Tm 2,2). Come il fuoco deve essere custodito per non estinguersi, così anche la Parola deve essere custodita nella sua divinità per non umanizzarsi e perdere così il suo potere. Ma anche questa vigile custodia - che è compito essenziale per la conservazione dell'integrità del messaggio tradizionale - non può essere unicamente opera umana proprio perché non umana è la natura del messaggio e non umana è la natura delle forze che attentano alla sua corruzione. Per questo motivo l'Apostolo esorta a custodire il «buon deposito» con l'aiuto dello Spirito Santo che abita in noi (2 Tm 1,14).

Altrove Paolo indica gli errori evitando i quali potrà essere consentita una fedele conservazione dell'integrità della Dottrina: le “chiacchiere profane" (tas bebelous kenofonias: oi bebeloi nelle tradizioni misteriche della Grecia classica erano i "profani" ai quali non dovevano essere trasmesse le verità iniziatiche e che dovevano essere tenuti fuori dalle porte) e le “obiezioni della scienza” che quando pretende di indagare le cose divine usurpa il proprio nome in quanto Scienza e solo quella che Dio comunica ai suoi fedeli ( 1 Tm 6,20) .

Vi è un solo Vangelo (Gal 1, 6-8; 2 Cor 11,4) ed è questo che tutti gli apostoli predicano (1 Cor 15,11). Questo Vangelo è una buona novella che deve essere annunciata e che contiene la rivelazione di Gesù, figlio di Dio (Rm 1,1- 4).

Paolo proclama l'immutabilità del "deposito tradizionale” in quanto fondato sull'eternità della Parola: «orbene, anche se noi stessi o un angelo del cielo vi predicasse un vangelo diverso da quello che vi abbiamo predicato, sia anatema» (Gal 1,8).

Dopo aver annunziato la vera Dottrina, Paolo prevede la decadenza dei tempi ultimi rifacendosi all'insegnamento del Maestro che già aveva pronunciato simili profezie (cfr. Mt 24, 4 - 31). Paolo descrive il prevalere dell'insana curiosità del prurito spiritualista sull'autentica ansia di conoscenza che viene dallo spirito: «verrà giorno in cui non si sopporterà più la sana dottrina, ma, per il prurito di udire qualcosa, gli uomini si circonderanno di maestri secondo le proprie voglie rifiutando di dare ascolto alla verità per volgersi alle favole». Quando ciò avverrà sarà segno caratteristico degli "ultimi tempi" sui quali l'Apostolo aveva profetizzato: «devi anche sapere che negli ultimi tempi gli uomini saranno egoisti, amanti del denaro, vanitosi, orgogliosi, bestemmiatori, ribelli ai genitori, ingrati, senza religione e senza amore, sleali, maldicenti, intemperanti, intrattabili, nemici del bene, traditori, sfrontati, accecati dall'orgoglio, attaccati ai piaceri più che a Dio, con la parvenza della pietà mentre ne hanno rinnegata la forza interiore» (2 Tm 3, 1-5). Circa i falsi maestri e la loro sterile sapienza e scritto: «nubi senz'acqua, portate via dai venti, alberi autunnali senza frutti, morti due volte, sradicati; onde furiose del mare... stelle vaganti, alle quali è riservata l'oscurità delle tenebre... » (Gd 12-13).

Proprio questi ultimi tempi - o questi tempi ultimi - precedenti il ritorno del Figlio saranno caratterizzati, tra l'altro, secondo la parola dell'Apostolo (2 Tm 3, 6-7) dal proliferare di una folla di eunuchi dello spirito che, persa la potenza della fede e la forza dell'amore per la verità saranno simili a «donnicciole cariche di peccati, mosse da passioni d'ogni genere, che stanno sempre lì ad imparare, senza riuscire mai a giungere alla conoscenza della verità». Costoro saranno presi al laccio dei falsi maestri, mossi come loro da passioni d'ogni genere, «uomini dalla mente corrotta» dei quali pero, la stoltezza sarà manifestata (2 Tm 3, 8-9). E non saranno più i maestri che sceglieranno i discepoli, ma i discepoli si sceglieranno i maestri «secondo le proprie voglie».

La più alta maturità dello spirito o, se si vuole, la più alta "virilità" in senso simbolico, è contrassegnata, al contrario, dalla capacita di arrendersi all'azione dello Spirito senza opporre resistenza, secondo le parole dell'umile donna “più che creatura”: «sia fatto di me secondo la tua parola» (Lc 1,38).

Questa "resa" (traditio, secondo uno dei sensi della parola latina) è condizione indispensabile affinché possa avvenire l'innestarsi della Verità che viene dall'alto, da "oltre" l'uomo, e che è il cuore vivente della Tradizione.

 

Mario Polia

 

 

Note

1. Cfr. introduttivamente sull'argomento M. Polia, “Propaideia Christou, il Cristo e le religioni", I Quaderni di Avallon, n. 4, Rimini 1984.